Sogno all'ombra della ragione

Sogno all'ombra della ragione

Oggi si ritiene che chi ha le visioni sia appunto un visionario; ma nel linguaggio descrittivo, nella comunicazione verbale, l’espressione “ho avuto un sogno” è perfettamente concepibile. Si esprime in questo modo il proprio stato d’animo e la propria aspirazione, una sorta di “oh come vorrei che fosse così”, in un linguaggio figurato. Così si espresse Martin Luther King (“I had a dream”) per esprimere appunto le sue idee, il suo programma politico. La visionarietà dantesca, altro esempio, non è mai solo quella del Dante “mistico”. E’, invece, un’energia che nasce nella scoperta di movimenti e rapporti nuovi entro la realtà esterna e interiore: una reinterpretazione del reale, per quella sua capacità di dar luogo alle cose nominandole. Anche per Dante viene spontaneo rinnovare la stupenda definizione dell’arte come “sogno fatto all’ombra della ragione”. E ciò sancisce l’affrancarsi della fictio dalla visio, delle figure del reale dalle metafore dell’immaginario, di un grande e stabile sistema analogico sul repertorio sfuggente dell’abbandono mistico.

Proprio la capacità di dialogare e di armonizzarsi col vero porta un sogno ad essere grande realtà e non una mera utopia di progresso, e di emancipazione, di evoluzione, di culto dell’oltre, che è e resterà onirico specchio di un uomo che non riesce a cogliere ed accettare se stesso, vittima di una pneumopatologia (malattia dell’animo) che, rendendolo incapace di entrare in relazione con la realtà prima, gliene fa creare un’inesistente seconda.

Non può che essere quindi il vero con la sua datità indipendente, e a volte imponente, il punto di partenza e di approdo di una narrazione, anche di fantasia, che si snoda sul filo della percezione e si approfondisce di riflessioni, di sensazioni, di ricordi che non possono che scorrere all’interno delle cose, come linfa vitale. Le grandi opere d’arte e i grandi progetti dell’umanità non nascono dal nulla, come apparizioni, come fragranti visioni di un universo interiore vanamente intessuto di poesia e d’incanto, ma sgorgano come momenti di contemplazione di cieli, di terre e di acque che si incontrano e che si compenetrano, di brani di vita, lunghi attimi di eternità. Immagini che sono voli d’immenso, spazi d’infinito da riempire con i battiti del cuore.

Come ci dice Aristotele nella Metafisica, l’esperienza è un sapere immediatamente inferiore ad arte e scienza (che sono le più alte forme della conoscenza), ma il solo che le produce. E un’esperienza buona, partecipata e “nutrita di realtà”, di mondo, è quella che nasce da un consapevole esercizio di sensazione e memoria. Ecco il legame, tutto greco ed occidentale, tra visione e visionarietà, tra vista (la sensazione per eccellenza secondo il filosofo) – che entra in contatto con il mondo – ed arte – che contempla la soglia del mistero dell’essere. Genio, artista, eroe è proprio colui che riesce a tradurre in azione qualche frammento colto contemplando quella soglia, rappresentazione sempre parziale ma l’unica che ci è data nella dimensione del conoscibile, del sensibile e del sovrasensibile.

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