Dai miei diari: Mario un Pesce Fuor d'Acqua
05 June 2020
E’ semplicemente un diario, un ricordo sgrammaticato di tanti anni fa, una posse tanto lontana neanche fosse un mito, ma è storia, la visione di un’amicizia e di cosa sono state per me le Arti Visive.
A Napoli eravamo sulla bocca di tutti così il Centro Santa Sofia ci mandò una regista a girarci un video. Mi sembra che era per -Parete-. Le foto che qui vedete, queste poche, non sono altro che un casuale backstage di quel momento.
Era il tempo delle VHS e delle miniDV, le prime palmari digitali costavano un sacco di soldi. Era la Napoli dell’Età Sonica, in classifica c’era la cultura Alternative e band, canzoni e label avevano quasi tutte la stessa denominazione: Sonica, Subsonica, Psycorsonica, Casasonica. Nelle fonoteche uscivano album come Catartica e Microchip Emozionale.
Dalle cantine più umide gli artisti da piccoli ateliers forgiavano movimenti, cortometraggi, mostre e band incredibili.
Persisteva ancora uno spirito d’Avanguardia, il Novecento, dove ogni cosa avveniva faccia a faccia e la parola Underground suonava come il fondamento delle new tribes. Il Mario Pesce a Fore è stata proprio questa, una tribù, dove ognuno, con il proprio background, si associava per partecipare a questa posse dallo spirito situazionista.
In rete c’è chi si è domandato cosa sia stato il Mario Pesce a Fore, questo “Pesce fuor d’Acqua” già molto ampliamente spiegato, e difatti non mi permetto di aggiungere altro, dove la strada era il suo divenire pulsante.
C’è chi era politicizzato e chi di politica non capiva niente, c’era chi ascoltava il rap e chi i Bluvertigo, c’era chi studiava entomologia e chi scriveva su Flash Art. Tutti noi eravamo in qualche modo urbani, magari qualcuno più periferico (perciò vedeva i fuochi della metropoli dalle zone del Daytona) e chi invece viveva giorno per giorno l’asfissiante Napoli del Corso Umberto I: o’ rettifil. Ma la linfa era tutta metropolitana. Il Mario Pesce a Fore è stato un collettivo che nella sua indipendenza e nell’indipendenza di ogni unità, produceva Arte passando da un genere all’altro, una bottega DIY con tanto di sede, che promuoveva l’espressione di ogni componente quale estetica a sé.
A 20 anni è impossibile fare gli intellettuali, tanto più gli artisti, a 20 anni fai la rockstar e forse qualcuno di noi lo era. Tutto nasceva all’Accademia e poi allo SKA.
Mi è capitato di criticare l’Accademia, non lo farò mai più. E lo SKA? Chi se lo ricorda.
Sui diari non si scrivono né saggi né crociate, tutto scorre in maniera automatica, come nel Surrealismo. E di quel periodo? Non del Surrealismo. Ho un piccolo ricordo senza malinconia se non per Gennaro. Wow! Ad entrambi piaceva il cyberpunk.
Sapete qual è la cosa più bella del passato? E’ il fatto che non tornerà mai più e per questo ciò che ricordi diventa un “Immaginario” (ho scritto un brano proprio con questo titolo).
Oggi insegno Arte, suono la chitarra e cerco personaggi immaginari. Che dire? Il tempo passa, le cose cambiano e i ricordi diventano sempre più lontani. Non sono d’accordo sulla nitidezza del passato, forse è per questo che esistono i libri.
Non credo nei miti, ma nella Storia: in quel concetto narrativo di memoria dove un ricordo vive perché è stato parte di quel contesto e tale non tornerà mai più. E così anche nelle arti visive, non cerco più per forza quel concetto di fare arte, ma di conoscenza dell’Arte nella sua Storia, nella memoria. Soltanto in questa consapevolezza, tra tanto caos, potremmo riflettere sulla soggettività della bellezza e avere il coraggio di girarci indietro ed esclamare: ma guarda un po’!

Donato Arcella

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