Dai miei diari: - F.T.LOW - bassa risoluzione
23 August 2020
Quando grattavo il plettro sulle corde il suono che ne usciva sembrava quello di una betoniera della Calcobit.

“Ciò che mi resta” è una canzone che scrissi quando avevo circa 17-18 anni. Mi piaceva una ragazza del Parco che non corrispondeva i miei sospiri, oltre questo, all’università le cose non andavano bene e nonostante gli sforzi, non riuscivo a mettere su una band che mi piacesse. Così mi ritrovai nella mia stanza, seduto alla scrivania, insieme ad una pianta di Ficus Benjamin a scrivere frasi del tipo: svanita lei non so che fare, questa felicità è una trappola, l’amicizia è una stanza chiusa e quale destinazione sto dando alla mia vita? Praticamente il delirio di un adolescente di periferia.
Quel concetto di scaltro, Francesco, non poteva spiegarlo meglio!
Erano gli anni del Neapolis Rock Festival, nella performance dei Marlene, all’attacco noise tra Sonica e Nuotando nell’Aria, Daniele svenne.
Non credo sia importante rivangare l’origine della scelta di questo nome, ma letterale o appellativo che sia, mi permetto di esporre il rimando di cui ho sempre avuto e che in qualche modo è stata la nostra dieta, o almeno la mia quando attraversavo a’California.
F.T.LOW – “low fi”= a: bassa risoluzione; grezzo; grunge; punk; la metropolitana di Montesanto: UNDERGROUND (parola novecentesca di origine anglosassone il cui significato culturale è andato perduto per sempre). Insomma un qualcosa strettamente legato al DIY, ma non poteva essere diversamente, perché il ricordo che mi perviene di tutta quella storia è periferico, se non in qualche modo “on the road”, inscindibile da quella sopraelevata che attraversavo a piedi tra camion, luci gialle e i fuochi delle sirene di Ulisse.
Tutti i giovani talentuosi con cui mi confrontavo, o almeno la maggior parte, frequentavano il Liceo Scientifico Brunelleschi, il Lollapalooza della gioventù sonica della periferia nord di Napoli, e Peppe di certo l’ho conosciuto in quei giri.
Ci provo…
Abitavo in un parco privato non lontano dal Parco Sie, poco più di 1 Km tra il quartiere di San Pietro e via Capri, nei pressi di quello che un tempo era l’Euromercato. Se Casoria, in quanto Comune limitrofe è una periferia di Napoli, io abitavo alla periferia di questa. Il balcone di Daniele era di fronte al mio.
Uscendo dal parco, per una strada che proseguiva via Castagna, arrivavo ad una piccola stazione di servizio. Andando avanti mi immettevo sotto un ponte che faceva da sopraelevata alla Circumvallazione Esterna. Attraversandola a piedi giungevo a casa di Peppe nelle zone della Casa del Pesce. La stazione di servizio ancora oggi attiva si trova di fronte all’Hotel Daytona, dall’altra parte della strada, e quel tratto della Circumvallazione che in linea d’aria partiva dal Daytona e finiva alla Casa del Pesce fu battezzata da me e Peppe “a’California”… ma non quella delle magnifiche spiagge sul Pacifico, il nostro immaginario si spostava verso la Los Angeles di Rick Deckard, il rap di Tupac e brani come Ruby Soho, per questo i nostri modelli non potevano essere Dante e Virgilio né tantomeno Pulcinella ma l’America: i venti d’Oltreoceano.
Negli anni ’90 il tragitto appena descritto, come si può capire, non era molto affidabile ed ogni volta che l’attraversavo (tra quei fuochi mancava soltanto l’intro di Lay Your Hands On Me) arrivavo a casa di Peppe con il fiatone. Peppe scendeva con in spalla il suo basso e così ci recavamo alle prove nel garage di Francesco.
Il garage di Francesco era la casa di Fox Molder, lo conoscevano tutti, dai servizi segreti della CIA al KGB, dagli alieni a o’Babbo. In quanto Comune d’appartenenza si trovava a Casavatore, ma centrato/decentrato in una posizione tale che attraversando la strada eri a Napoli, ti spostavi 30 metri più avanti ed eri a Casoria, proseguivi dalla parte opposta verso Casavatore e in niente ti trovavi nel Parco Acacie dove poco più avanti eri già a Secondigliano. Praticamente la Cantina dei Bardi del triangolo Nord delle Bermude. Questo garage ha visto di tutto: la nascita e la fine di progetti musicali, feste, discussioni, la realizzazione di cortometraggi e bellissimi cineforum. Per un periodo è stato anche il mio atelier. Era frequentato da rockettari, metallari, studenti e attori di teatro. Tommaso dal N.T.N portò un intero laboratorio per girare un mediometraggio di cui non abbiamo più traccia.
Gli F.T.LOW sono stati il risultato sconosciuto di questa condizione periferica e “de-centrata” di un periodo storico dove la cultura Alternative era ovunque.
L’Età Sonica…
Non c’erano soltanto Nirvana e Smashing Pumpkins, ma anche il soffio di altri venti quali potevano essere Spike Lee, Wong Kar-wai e Carmelo Bene. L’amore di Daniele per l’Alternative nostrano era contagioso e le tele-visioni di MTV e Fuori Orario erano vissute H24.
…ancora forte sento il grido di quella performer alta, magra e con gli occhi a mandorla che per un bel pezzo è stata la nostra frontwoman: la ragazza che cantava Bro Hymm.
In quel periodo gli F.T.LOW rifiutavano la forma canzone, amavano affacciarsi su altre soluzioni, ricordo che i brani nascevano da un fare aleatorio per giungere poi ad una forma propria. Ma nonostante quelle strutture così “complesse”, l’eco di quel piccolo brano pop era sempre lì. C’era tanta voglia di osservare e sperimentare, ma forse chissà, le cose semplici vengono sempre nascoste ed ecco che allora tutto si complica. Avevo una chitarra blu, ero sempre con lei, e un amplificatore che io e Daniele, per farlo funzionare, dovevamo prenderlo a calci, eppure, nonostante le difficoltà in quel garage non scherzavamo. I colori degli oleandri tipici del Cilento, in estate, trasformavano tutto in unplugged tra spiagge e tramonti nei bellissimi sorrisi di Manuela e Margherita. Ma nonostante quelle visioni periferiche e i venti d’Oltreoceano, gli F.T.LOW man mano svanirono come tantissime altre storie.
Avete mai visto Peppe al concerto dei Rancid? Non sapete cosa vi siete persi. Solo dopo molto tempo ho imparato che non esistono solo le fotografie…
Se quel DS-2 della BOSS era così potente, poteva cadere anche la California, ma un ricordo che riecheggia dal basso arrivato ad un certo punto riemerge.
Si dice – sono passati tanti anni- ma la costante del tempo serve a questo, a farti ricordare le cose e a ripartire. Dopo più di 20 anni, verso quei bellissimi caldi greci che solo Partenope sa regalare, con la mia Fender parto dalla terra dei Carracci per ritrovarmi nel forno della circumvesuviana di Pioppaino. A Trecase mi aspettava Daniele, il personaggio Immaginario di Nanni sai.
Autostrada. Usciamo a Grumo.
Ad Officina Sonora ci attendono Peppe e Francesco. Il bassista e il batterista.
Da molto tempo ho imparato che non esistono solo le fotografie, e come queste emergono da un cassetto, le canzoni riemergono dall’aria e una volta respirate non le dimentichi più. C’è qualcosa di sublime? Di epico? Perché no? “Ciò che mi resta” di quell’epos, erano quei quattro power chord che ho ritrovato in uno spirito del tutto nuovo. Rockettari più di prima, magnifico! Performativi e in presa diretta. Registriamo. Francesco ha tolto i tom, Daniele ha abbracciato una T-60 e Peppe splende con quel giro di basso. Ed io? Nostos- ritorno finalmente a cantare in quel viaggio periferico con gli F.T.LOW.
Aria condizionata a 16°.
Fender e T-60 scivolano via come i pinguini e i suoni scorrono dritti in un sollievo agognato da tanto, ero finalmente lì, con la mia band.
Cosa sono le chitarre elettriche se non gli strumenti diversi per eccellenza? Forse per il fatto che in sé “non sono” strumenti, ma oggetti d’arte? Almeno per come la vedo. Forse perché alzando il volume di un amplificatore puoi arrivare ovunque sapendo che quel suono può appartenere soltanto al rock? Si! Perché la piccola storia che ho voluto ricordare è una storia rock e non può essere altro.
Anzi credo per certo che…
Le storie possono essere soltanto grandi, perché queste appartengono a chi le ha vissute e non c’è un canone per definirle, magari una canzone. Ci proiettiamo verso il futuro, ma non ci prendiamo mai il tempo per riflettere su ciò che è rimasto. Nostalgia? No! Ma gli uomini sono tali perché hanno avuto il dono del ricordo e difatti non voglio più guardare indietro, ma molto indietro a quel tempo prima che le cose si complicassero.
Peppe ha ragione, ci voleva una pizza.
Ora mi trovo qui sulla Linea Esterna, la linea FS che da Napoli P.zza Garibaldi muore a Castellammare di Stabia. Attenzione, non la Circumvesuviana, questa attraversa i Comuni. La Linea Esterna è una linea ferroviaria che costeggia il mare ed è lontana dalle conurbazioni, quando c’è il sole i vagoni diventano blu, quando c’è tempesta è come se attraversassero le onde. E’ un treno raro, le carrozze non sono mai affollate.
Sono quasi alla fermata per Rovigliano, sto finendo di scrivere questa pagina di diario. La prossima dovrebbe essere Castellammare: “quella piccola pianura pulita già dal vento”, e seduto comodamente sulla poltrona della carrozza accanto al finestrino, sbariando, fantasticando con l’iPod faccio ripartire heavy rotation la colonna sonora di questa grande avventura.

Donato Arcella

-Un particolare ringraziamento ad Ilaria per le bellissime fotografie.

https://soundcloud.com/spazi-lolli/cio-che-mi-resta-1

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