Dai miei diari: Lollapalooza
01 January 2021
Neanche Perry Farrell poteva immaginare che in quelle periferie sperdute del Mediterraneo, i suoni d’Oltreoceano avrebbero fatto “ballare” anche Sironi.

Non ricordavo Daniele, appena sedicenne, già padrone del palco: magnifico! Un vero e proprio frontman, tra me e Ottavio, mentre si esibiva con il suo giubbino di pelle.
Nella foto qui sopra, che molto probabilmente scattò Peppe, siamo al “Liceo Scientifico Brunelleschi” di Afragola, uno dei tanti licei della periferia nord di Napoli, ma per noi, nei tempi sonici del Novecento, era il Lollapalooza: qualcosa di eccezionale.
Tra i brani presentati c’erano alcune cover, non ricordo quali, ma ricordo che fummo gli ultimi dopo un cospicuo numero di band e tra queste c’era anche la band di Umberto. Bella storia! Ma quel palco fu la storia di molti e c’è stato chi veramente divenne una star. Non scherzo! Ad esempio Marco, con le “sue” Wasting Love e Fear of the Dark, tra le bellissime ragazze che frequentavano il Rusticone, dava del filo da torcere all’allora nascente Brad Pitt.
Ma perché questo ricordo? Che cosa sto cercando di ricordare? Chitarristi come Ottavio e Slao? Cantanti come Marco e Daniele? No. Non è questo. Il mio discorso verte sempre su quello che ancora vivo: la periferia.
I miei ricordi si muovono perché in qualche modo cerco di capire questo rimando vagabondo.

Mi spiego, aiuto…

Ho sempre amato le stazioni ferroviarie e sarebbe normale, almeno plausibile, amare una stazione come Napoli Centrale, logicamente più grande, meglio servita e vissuta. Invece ho sempre amato stazioni come Casoria, Bussero e tutte quelle che, in quanto luogo di “transito”, mi portano in centri più grandi come Napoli, Roma e Milano. Perciò, non il luogo in quanto centro, ma il tragitto in quanto luogo. Praticamente un qualcosa che appartiene al “prima”, e in questo prima, la visione totale, la visione lontana: iI sublime. La stessa, che nella mia immaginazione, hanno vissuto quelli dell’Apollo 8 quando dalla Luna hanno “scoperto” il disco della Terra. La stessa che provavo quando attraversavo quella sopraelevata o quando abbandonavo il Centro.
Ne parlavo ultimamente con Nello ricordando quando, dalle periferie dell’U.C.I., citando film come Matrix, osservavamo Napoli da “lontano”.

Che flash…

La periferia non è un “luogo sperduto” è semplicemente un altro luogo, di “transito”, con le sue strade e le sue storie. Non è una “cosa” decentrata o uno stato di cose “transitorio” in quanto luogo marginale, è una realtà “non transitoria”, un ambiente, dove è possibile maturare la propria visione.
Non esiste la periferia di Casoria, come non esiste la periferia di Bussero o San Lazzaro: esiste la periferia di Napoli e di Milano, di Londra e di New York. Una periferia è tale soltanto se al “centro” delle cose domina una città, e a ridosso di questa, l’immaginario: l’ispirazione che di notte diventa l’”artificiale” luccichio delle stelle, l’inevitabile e tragica conclusione della Torre di Babele, l’idea cyberpunk dell’èra post Apollo la cui missione è stata tutta periferica.
Nelle periferie ogni rumore è ben spiegato, difatti, quell’intercity che passava a notte fonda lo sentivo tale e quale, in centro sarebbe stato impossibile percepirlo.
Enzo, in questi luoghi, conservava la scuola dei Corelli e sempre in questi, ad Officina, ho visto live che hanno fatto la storia.

Abbiamo sognato il Lollapalooza.

Cerchiamo di andare in Centro ma non ci rendiamo conto delle visioni “altre” delle periferie. Spostarsi in centro, ad esempio, è un viaggio e personaggi meramente periferici come il ladro di Bagdad, che vendeva i suoi walking cup all’unghia felina per poco e niente, poteva resistere solo qui.

Nel “transito” tra la periferia e il centro conosciamo l’impossibile.

Mimmo e Gennaro erano già a P.zza Bellini, io e Rossella dalle periferie, ci raccontavamo di tutto perché eravamo praticamente nomadi: andata e ritorno.
Purtroppo, qui, uomini e vizi si nascondono bene e per questo è una giungla, la stessa giungla che si affrontava per il palco del “Lollapalooza”. Volevamo essere come Corvo Rosso, ma in quei rumori marshall ossidati dall’umidità, ci dimenavamo come Jimi e Joystick a Marrakech.
Lo spirito del tempo ha sempre accompagnato le metropoli, ma fuori di queste c’erano altre storie, tutte sommerse e disperse nel tempo, difficili da raccontare perché forse non vissute e isolate per sempre.

“Il rock, pur con varie sfaccettature, resta rock, quindi non una musica italiana. Il fatto di cantarla nella nostra lingua non la rende italiana, al limite ‘ruffiana’” (M. Michelotti).

Quel concerto al liceo fu prima degli F.T.LOW, era un altro progetto che prima di giungere lì, dal garage di Francesco, toccammo le periferie di Officina a Gianturco, l’unico progetto ad aver visto una demo. Ricordo Core e Lucariello, 24 Grana e Arcana, ma le scintille furono tutte lì sul palco del Brunelleschi dove Daniele, come potete ben vedere, non scherzava.

Donato Arcella

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