Dai miei diari: Gradini a Sé
26 August 2021
Era un bel pomeriggio d’estate, anno 1998, Angelo e Giovanna mi vennero a prendere a Napoli, P.zza Garibaldi, per portarmi a Salerno, li aspettavo con l’amplificatore di Daniela e la mia chitarra blu.
Marylù mi aveva appena spezzato il cuore.
Avevano organizzato una performance sulla base di alcuni studi su Pollock, un action painting in gruppo su una grande tela. Il luogo della performance? La strada ! Scelsero una piccola piazza della città nel centro storico, non ricordo quale.
Negli anni dell’Accademia mi recavo spesso da Angelo, il treno Napoli-Sapri per me era la via della mitologia, era quel treno che da Napoli ti portava nel Cilento: la terra di Parmenide.
“Gradini a Sé”, questo era il nome del progetto o dell’evento, sicuramente senza convinzione o forse si, da quel che so fu l’unica performance di questo collettivo. Angelo, Giovanna, Tullio, Alessandra e Michela dipingevano una grande tela in action painting sul noise della mia Sakura, una chitarra elettrica dal valore di 150 mila lire con cui ci ho fatto la guerra, mentre il suono che usciva dall’ampli, avvalorato dallo Zoom di Daniele, nella piazza dell’happening arrivava ovunque.

Mi piaceva quel nome “Sakura”, niente a che vedere con Lamù, mi dava quel rimando nipponico post-human così in voga in quegli anni.
Tra preparazione ed esibizione l’occasione durò tutto il pomeriggio fino a tarda sera, indimenticabile.

Ricordo che quell’estate, pieno di quell’esperienza sonica, andai con mia sorella e degli amici al concerto dei Bluvertigo a Paestum: Metallo non Metallo tour. Noi tutti, compresa la band, eravamo circa in 20, Morgan e compagni suonarono ad un raduno di centauri, gran bel concerto. L’anno dopo aderì al Collettivo M.P.A.F.

Con Gradini a Sé, quel discorso di musica, pittura e performance non mi dispiacque, peccato che finì lì. Mi sembrò di rivivere quella dimensione “No Wave” molto cara alla New York di fine anni ’70: sognavamo i miti d’Oltreoceano.
Ci fu una documentazione video, forse ce l’ha ancora Angelo… chissà, tanto sono millenni che non lo vedo: niente è più neoclassico del perdersi nella tempesta dei ricordi.
Ora suono un’altra chitarra il cui valore è un po’ più alto, logicamente elettrica, ma ogni volta che guardo quella chitarra blu affiora sempre quell’odore Sonico di trincea. Non ricordo chi scattò questa foto, l’ho ritrovata per caso mentre cercavo tutt’altro, ma quanto basta per raccontarne la storia.

Donato Arcella

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