ISIDORE DUCASSE Canti di Maldoror, Isidore Ducasse conte di Lautréamont assoluto nichilismo verso lo stato di cose, sia contraddetta e come rinnegata dalle tardoilluministiche, postume Poesie, uno spoetizzato esercizio di filosofia aforistica intriso di polemica antiromantica e rivolto alla realtà effettuale? E potrebbero essere una conferma della possibile schizofrenia del giovane poeta, appena ventiquattrenne, tali perentorie formulazioni e dichiarazioni d’intenti dominate da un logos antilirico opposto al simbolismo visionario del Maldoror che ora Lautréamont sembrerebbe giudicare un libro forse fallito a causa delle fiere aggressioni contro la divinità e degli smodati elogi del male in esso contenuti?
“Ho cantato il male” scrive (23 ottobre 1869), a proposito dei Canti, Isidore all’editore Verboeckhoven “come hanno fatto Mickiewicz, Byron, Milton, Southey, A. de Musset, Baudelaire, ecc. Naturalmente, ho accentuato il diapason per dire qualcosa di nuovo a proposito di quella letteratura sublime che canta la disperazione solo per opprimere il lettore, e fargli desiderare il bene quale rimedio. Allora, insomma, si canta sempre il bene, però con un metodo più filosofico e meno ingenuo di quello della vecchia scuola di cui Victor Hugo e qualche altro sono i soli rappresentanti ancora in vita”. Aggiungendo quasi accoratamente: “Quanto soprattutto desidero è essere Maldoror (‘mal/d’orrore’) Maldoror (la Bibbia, Dante, Shakespeare, Milton, Byron, Goethe, Baudelaire, Poe, Borel), degli eventuali calchi o ‘plagi’ riscontrabili nella seconda parte delle Poesie: da La Rochefoucauld, La Bruyère, Pascal Pascal (“Scriverò i miei pensieri senza ordine”; ma Lautréamont: “Scriverò i miei pensieri con ordine”); La Rochefoucauld (“L’amore della giustizia non è, nella maggior parte degli uomini, che il timore di patire l’ingiustizia”; Lautréamont: “L’amore della giustizia non è altro, nella maggior parte degli uomini, che il coraggio di patire l’ingiustizia”); La Bruyère (“Tutto è stato detto”; Lautréamont: “Niente è detto”).
Nello stesso tempo, il poeta non manca di porsi in lucida dialettica con se stesso quando fa riferimento a un brano del “Canto primo” del Maldoror (“In tutta la mia vita ho visto gli uomini, nessuno escluso, che stringendosi nelle spalle hanno commesso innumerevoli azioni stupide, degradato i propri simili e corrotto in ogni modo le anime. Chiamano gloria il motivo delle loro azioni […]. Tempeste, sorelle degli uragani; firmamento bluastro di cui non concepisco la bellezza; mare ipocrita, immagine del mio cuore; terra dal misterioso seno; abitanti dei pianeti; universo intero e Dio che lo hai magnificamente creato, io t’invoco:
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