Le soglie invisibili
18 September 2018
Ruggini
Le ruggini e i silenzi bloccati che ogni abbandono porta con sé, come una muffa che lenta scivola a ricoprire anche i ricordi. Una sorta di accoglienza che del suo calore conserva solo tracce dei colori che indossa, lasciando che piano si spengano e che - del duraturo riverbero - restino nient'altro che liquidi putrescenti. Acqua, ossigeno e terre: gli elementi che di ogni specie e forma sono l’origine, qui si rafforzano e sovrastano a vicenda, fino a diventare le uniche vite che restano e che, come in una gara di sopravvivenza, si cibano alla radice delle stesse possibilità che insieme generano.
Le immagini di Ernesto Massimo Sossi parlano di solitudini scarne e di emozioni che consumano l’osso. Una corrosione viscerale che divora i suoi giochi di luci e li trasforma in amalgami di paste brune e coaguli di vecchie ferite. Bruciano tutto intorno e fanno terra rasa, ma non per questo sterile. Una capacità rigenerativa che scorge la superficie a cui attecchire; humus fecondo posto ben aldilà di ciò che è andato perduto e delle ceneri che in fine rimangono. Il seme della rinascita giace sepolto e nascosto, perpetuamente invisibile anche dopo che tutto è stato consumato e annientato. Ernesto mostra le segrete caverne di ciascuna coscienza. Ne ritrae gli ingressi invalicabili: le porte sbarrate che proteggono l’intimità di quel non detto che sempre ribolle, fisso e stantio, fra le sue grotte dalle pareti scrostate.
Alcuni scatti, flash e fotogrammi di momenti intramontabili e ciclici che rimarcano - non una fine - ma un continuo e sempre nuovo divenire nell’esatto istante in cui inizia a dispiegarsi. La sacralità di una risurrezione umana e possibile che soffia affannosa, tanto fra le lapidi abbandonate di una morte che più nessuno piange, quanto nelle dimore lasciate a gestirsi da sole le proprie crepe. Sono quelle le “invisibili soglie” di un profondo cambiamento che sempre avviene, fresco di nuovo e unto dall’amaro delle vecchie macerie, ma che dallo stesso guscio rifiorisce.
Passione, lacrime e nuova vita: perché degli impulsi umani questi sono i principi scatenanti dell’evoluzione incessante. Ernesto Sossi ne scruta i recessi per proporre nuove forme, apparentemente distanti, eppure ne rimarca i concetti. La sensualità di un corpo senza volto su cui si proiettano uno o più melograni: frutto e simbolo prediletto. Alla donna e madre appartiene il dono della fertilità, così come nella cultura pagana ed ebraica il melograno auspica il buon augurio. Nella simbologia cristiana lo stesso frutto associato a Gesù ne preannuncia la Passione e con essa, la resurrezione. Richiami sacri ancora associati alla figura femminile rimandano alla Crocifissione: l’ultima, dolorosa eppure indispensabile fase prima della calma riscattante. Di nuovo l’annuncio di una metamorfosi in atto. È come se ci si aspettasse la guerra per vedere rifiorire le erbe selvatiche al posto del cemento. Ernesto svela il momento subito seguente al “bombardamento”, il dolce martirio che si consuma aspettando un successivo stadio del processo di mutamento. Quell’inizio del tutto nuovo che necessariamente segue una rovinosa fine: come le ragnatele dopo la notte e l’abbandono, come le precarie e immaginifiche città rovesciate dopo ogni temporale.
Divenire, trasformazione e forme nuove. La vita innanzitutto, nelle macchie di un muro come spettri al microscopio, nello scegliere da quale parte stare delle “Invisibili soglie”, fra il “qui e ora” e l’ignoto che resta celato dietro a un ferro ricurvo, eppure incorruttibile custode dei segreti di quel “dopo” che sempre segue una fine qualunque.

Laura Coppa

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