Ciao Daniel,
Intanto vorrei ringraziarti per la tua Amicizia e al contempo farti i miei più sinceri complimenti, le tue opere sono BELLISSIME e assieme trasmettono una poesia ed una lirica al di fuori della norma, Lasciano senza parole....
Indifference leads to barbarity and barbarity to catastrophe and pain… The only way, as I see it, to stop this ill luck, is not anger and aggression, but honesty and love, the words of heart we exchange the last few weeks, not only between professionals but also with amateurs, collectors, galleries, critics, journalists and visitors… For me it was and still remains a unique experience –a “job” I took seriously– and I am very grateful to all of you, MY FRIENDS, for that!… From over a thousand friends (and favourite works), one out of ten found the time to exchange some honest and kind words… This ratio, I would say, is a good one, because if one out of ten artists of the world has this elementary sensibility, the future of the blue planet earth seems to be in good hands… Be always touched with Life, yours Takis
Da allora non feci più niente fino al quadro del Crocifisso di cui ho parlato prima .
Dopo l’India, ero partito per Patmos con la ferma intenzione di diventare pittore. Dovevo lavorare seriamente, cosa a cui non ero abituato. Fino ad allora non mi ero mai impegnato seriamente, se non per il museo, il partito comunista, e l’Hashomer Hatzair.
Nella mia stupenda casa, accanto alla grande sala (8 x 12 metri) dove tenevo gli attrezzi di pittura, installai lo studio. Una finestra dava sul cortile, l’altra, opposta, sul mare e sul monte Elia. In que-sto modo potevo alternare la fonte di luce.
Per un intero anno feci quattro ricerche:
studiavo un libro di Johannes Itten del “Bauhaus” sul co-lore ed eseguivo tutti gli esercizi proposti: scale di grigi dal bianco al nero, colori complementari, chiaro scuro ecc.;
disegnavo con matita, china, carboncino e tempera la natu-ra, Chora e l’isola di Patmos e, a casa, nature morte, perso-ne ed animali ecc.;
dipingevo con colori ad olio, con acquarello e tempera un mondo fantastico ed onirico – in questo ero influenzato da Paul Klee;
copiavo, interpretandoli, capolavori dei grandi maestri.
Questo durò un anno intero.
Venne a trovarmi per due mesi Denise Voita, della quale ho già parlato. È un’ottima pittrice, con la quale potevo dialogare e con-frontarmi.
Degas
Per cambiare aria, facevo ogni tanto un viaggio ad Atene, dove avevo amici, artisti greci e scrittori inglesi. Era l’occasione per vi-sitare qualche mostra, comprare materiale di Belle Arti e divertir-mi. In una libreria trovai un testo francese: “Degas à la recherche de sa técnique”. Fu la svolta. Degas è il più grande pastellista dell’800 . I suoi pastelli sono più originali e numerosi dei suoi o-li. In questo libro veniva descritto minuziosamente tutto il suo percorso tecnico. Lo seguii metodicamente.
Fu così che giunsi, dopo un anno, ad esprimermi con una tecni-ca soddisfacente, ma non ancora con un mio stile personale.
Con il pastello feci ritratti di mia madre, di Argyro, del mio ca-ne Lofi, e nature morte.
Kokoschka
Dopo questo primo anno passai l’estate in Europa, frequentan-do a Salisburgo un corso di Kokoschka. Devo premettere che il suo stile barocco di allora, con gli anni sempre più commerciale , non mi è mai piaciuto.
Gli elogi del maestro e del suo assistente, che davanti ad un mio acquarello esclamò: “Geniale! Lei ha la pittura nel sangue!” mi bloccarono totalmente .
Ansioso di migliorare e di continuare ad eccellere, persi ogni spontaneità ed estro. Quando Kokoschka passò di nuovo tra i ca-valletti, si fermò davanti ai miei acquarelli e disse: “Lei sta andan-do indietro, è tutto rigido, mi delude”. Bastò quel “rimprovero” in pubblico per farmi decidere di lasciare la scuola e di interrompere, dopo due settimane, il corso costoso che doveva durare un mese.
Espressione personale o stile
Fu nel secondo anno di Patmos che sbocciò, sempre con il pa-stello, qualche cosa di nuovo. Qualche cosa che doveva evolvere lentamente verso una mia espressione personale.
Per due settimane sfornai uno o più dipinti al giorno.
Mi dissi: “C’è l’ho fatta. Sono pittore!”.
Nella mia mente la storia doveva continuare così: ogni giorno uno o due dipinti, almeno 300 all’anno.
Per festeggiare la mia carriera – che non era neanche comincia-ta – quella sera scolai un’intera bottiglia di whisky. Fu fatale: il giorno dopo ripresi a dipingere, ma avevo perso ogni ispirazione. Riuscivo solo a copiarmi e ricopiarmi. La cosa divenne un’ossessione che mi portò ad un vero e proprio esaurimento ner-voso. Cominciai ad avere paura di tutto, anche di alzarmi dal letto; insomma, dovetti smettere e riposarmi. Ma la depressione aumen-tava .
Nel frattempo erano avvenute le dimostrazioni antisemite da-vanti alla mia casa . Così decisi di lasciare Patmos.
Tornai a Losanna, dove mi iscrissi come allievo libero all’École des beaux arts e presentai – fu la mia prima mostra per-sonale – i miei pastelli nella Galleria Bridel. Non vendetti nien-te . Ebbi però ottime critiche. Questo irritò i miei professori a tal punto che mi misero l’aut aut: o sei allievo, e allora niente mostre; o sei già pittore, e allora niente accademia. Ovviamente scelsi la seconda alternativa.
Stanco di vivere con mia madre – nel frattempo era tornato an-che mio fratello – decisi di ripartire. Continuare a vivere a Patmos non era prudente, e non ne avevo più nessuna voglia. Così decisi per l’Italia. Ero innamorato della pittura di Piero della Francesca, e progettai di vivere nella sua Toscana, vicino ad Arezzo.
Cortona I
I primi passi ad Arezzo mi condussero naturalmente a Piazza San Francesco, dove si trovano i famosi affreschi di Piero della Francesca e, uscendo dalla basilica, inevitabilmente nella galleria dell’allora famoso antiquario Ivan Bruschi.
Ivan fu molto amabile; con il tempo diventammo amici. Mi sconsigliò di vivere ad Arezzo: “È una città puramente commer-ciale, le suggerisco di provare altrove”.
Proprio in quel momento entrò nel suo negozio un antiquario che viveva nelle vicinanze di Cortona. Ivan mi presentò; la stessa sera mi accompagnò a Cortona.
Piergiorgio e Luciana Frassati
La mattina visitai la stupenda cittadina e incontrai il signor Carresi, un imprenditore edile, che mi propose l’affitto di due case in “Poggio”, l’antico nucleo di Cortona, nella città alta. Apparte-nevano alla signora Luciana Frassati, la sorella del beato Piergior-gio Frassati . Ne affittai una come abitazione e l’altra, che aveva una grande sala luminosa, come studio.
Il pastello viene considerato una tecnica minore, al pari della tempera e dell’acquarello. Pensando ad una “gloriosa” carriera di pittore, decisi di dedicarmi soprattutto all’olio. Cominciai quindi una serie di dipinti, usando con grande libertà la spatola. Non ba-davo minimamente al colore che ad ogni colpo di spatola cadeva sul bel pavimento, stile rinascimento: pian piano si coprì di una crosta oleosa, indelebile e inamovibile.
Dopo due mesi arrivò la signora Luciana per controllare l’andamento delle sue proprietà. La sorella, meno generosa verso i poveri del suo beato fratello, mi sfrattò seduta stante dallo studio, e mi fece pagare un nuovo pavimento. Dovetti ritirarmi nella casa dove abitavo. Questa però, una costruzione medievale, era buia e angusta. Dipingere lì era impossibile . Ero costretto a cercare altrove.
Santa Margherita
Non so come mi venne l’idea di salire verso il santuario di Santa Margherita che domina la Val di Chiana , e di suonare al-la porta del convento francescano adiacente. Sono sicuro che il beato Piergiorgio ci mise lo zampino o, se preferite, la mano.
Mi aprì il padre Guardiano. Chiesi se aveva qualche locale da affittarmi per dipingere e, per mettere le cose in chiaro, aggiunsi subito che ero ebreo. Chi sa se fu proprio questo che convinse il frate: mi accompagnò verso un piccolo chiostro interno, chiuso a vetrate; lì avrei potuto dipingere.
Per evitare altri sfratti, decisi da quel giorno di rinunciare alla pittura ad olio. Da allora fino ad oggi, mi dedico esclusivamente al pastello.
Il concentrarsi su una sola materia ha certi vantaggi: la conosci sempre meglio e puoi sfruttarne le diverse caratteristiche. Fino a quando un pittore non domina la propria tecnica, non può acqui-stare una sua libertà di espressione .
Quando qualcuno mi chiede – succede – quanto tempo impiego per dipingere un quadro, rispondo sempre: “cinquant’anni”. Do questa risposta sia perché è la verità, in quanto in un certo senso ogni quadro è figlio degli antecedenti. Ma rispondo così anche a qualche furbo che vorrebbe calcolare quanto guadagno all’ora. Se rispondo per esempio “due ore” e chiedo 1000 euro, quello crede che guadagno 500 euro all’ora. Quindi: cinquant’anni di lavoro per un quadro che costa 1000 euro non è molto. Chi è interessato a sapere di più sul mio curriculum di pittore, può documentarsi su internet, cliccando www.dlifschitz.com
Passai quasi due anni a Cortona, dall’inverno 1964 all’ottobre 1966. Ormai avevo trovato dai francescani di santa Margherita uno studio tranquillo. Per raggiungere il mio chiostro dovevo per forza attraversare ogni giorno il santuario; lì mi salutava dalla sua urna la Santa peccatrice con il corpo incorrotto. Ciò allora non mi interessava più di tanto, ma forse era lei ad interessarsi di me. Donna che in gioventù fu schiava delle passioni, doveva sentire simpatia per un giovane che, almeno in questo, era della sua stessa risma.
Comments 11
Stefano
Saluti
grazie
Intanto vorrei ringraziarti per la tua Amicizia e al contempo farti i miei più sinceri complimenti, le tue opere sono BELLISSIME e assieme trasmettono una poesia ed una lirica al di fuori della norma, Lasciano senza parole....
Ricerche pittoriche a Patmos
Da allora non feci più niente fino al quadro del Crocifisso di cui ho parlato prima .
Dopo l’India, ero partito per Patmos con la ferma intenzione di diventare pittore. Dovevo lavorare seriamente, cosa a cui non ero abituato. Fino ad allora non mi ero mai impegnato seriamente, se non per il museo, il partito comunista, e l’Hashomer Hatzair.
Nella mia stupenda casa, accanto alla grande sala (8 x 12 metri) dove tenevo gli attrezzi di pittura, installai lo studio. Una finestra dava sul cortile, l’altra, opposta, sul mare e sul monte Elia. In que-sto modo potevo alternare la fonte di luce.
Per un intero anno feci quattro ricerche:
studiavo un libro di Johannes Itten del “Bauhaus” sul co-lore ed eseguivo tutti gli esercizi proposti: scale di grigi dal bianco al nero, colori complementari, chiaro scuro ecc.;
disegnavo con matita, china, carboncino e tempera la natu-ra, Chora e l’isola di Patmos e, a casa, nature morte, perso-ne ed animali ecc.;
dipingevo con colori ad olio, con acquarello e tempera un mondo fantastico ed onirico – in questo ero influenzato da Paul Klee;
copiavo, interpretandoli, capolavori dei grandi maestri.
Questo durò un anno intero.
Venne a trovarmi per due mesi Denise Voita, della quale ho già parlato. È un’ottima pittrice, con la quale potevo dialogare e con-frontarmi.
Degas
Per cambiare aria, facevo ogni tanto un viaggio ad Atene, dove avevo amici, artisti greci e scrittori inglesi. Era l’occasione per vi-sitare qualche mostra, comprare materiale di Belle Arti e divertir-mi. In una libreria trovai un testo francese: “Degas à la recherche de sa técnique”. Fu la svolta. Degas è il più grande pastellista dell’800 . I suoi pastelli sono più originali e numerosi dei suoi o-li. In questo libro veniva descritto minuziosamente tutto il suo percorso tecnico. Lo seguii metodicamente.
Fu così che giunsi, dopo un anno, ad esprimermi con una tecni-ca soddisfacente, ma non ancora con un mio stile personale.
Con il pastello feci ritratti di mia madre, di Argyro, del mio ca-ne Lofi, e nature morte.
Kokoschka
Dopo questo primo anno passai l’estate in Europa, frequentan-do a Salisburgo un corso di Kokoschka. Devo premettere che il suo stile barocco di allora, con gli anni sempre più commerciale , non mi è mai piaciuto.
Gli elogi del maestro e del suo assistente, che davanti ad un mio acquarello esclamò: “Geniale! Lei ha la pittura nel sangue!” mi bloccarono totalmente .
Ansioso di migliorare e di continuare ad eccellere, persi ogni spontaneità ed estro. Quando Kokoschka passò di nuovo tra i ca-valletti, si fermò davanti ai miei acquarelli e disse: “Lei sta andan-do indietro, è tutto rigido, mi delude”. Bastò quel “rimprovero” in pubblico per farmi decidere di lasciare la scuola e di interrompere, dopo due settimane, il corso costoso che doveva durare un mese.
Espressione personale o stile
Fu nel secondo anno di Patmos che sbocciò, sempre con il pa-stello, qualche cosa di nuovo. Qualche cosa che doveva evolvere lentamente verso una mia espressione personale.
Per due settimane sfornai uno o più dipinti al giorno.
Mi dissi: “C’è l’ho fatta. Sono pittore!”.
Nella mia mente la storia doveva continuare così: ogni giorno uno o due dipinti, almeno 300 all’anno.
Per festeggiare la mia carriera – che non era neanche comincia-ta – quella sera scolai un’intera bottiglia di whisky. Fu fatale: il giorno dopo ripresi a dipingere, ma avevo perso ogni ispirazione. Riuscivo solo a copiarmi e ricopiarmi. La cosa divenne un’ossessione che mi portò ad un vero e proprio esaurimento ner-voso. Cominciai ad avere paura di tutto, anche di alzarmi dal letto; insomma, dovetti smettere e riposarmi. Ma la depressione aumen-tava .
Nel frattempo erano avvenute le dimostrazioni antisemite da-vanti alla mia casa . Così decisi di lasciare Patmos.
Tornai a Losanna, dove mi iscrissi come allievo libero all’École des beaux arts e presentai – fu la mia prima mostra per-sonale – i miei pastelli nella Galleria Bridel. Non vendetti nien-te . Ebbi però ottime critiche. Questo irritò i miei professori a tal punto che mi misero l’aut aut: o sei allievo, e allora niente mostre; o sei già pittore, e allora niente accademia. Ovviamente scelsi la seconda alternativa.
Stanco di vivere con mia madre – nel frattempo era tornato an-che mio fratello – decisi di ripartire. Continuare a vivere a Patmos non era prudente, e non ne avevo più nessuna voglia. Così decisi per l’Italia. Ero innamorato della pittura di Piero della Francesca, e progettai di vivere nella sua Toscana, vicino ad Arezzo.
Cortona I
I primi passi ad Arezzo mi condussero naturalmente a Piazza San Francesco, dove si trovano i famosi affreschi di Piero della Francesca e, uscendo dalla basilica, inevitabilmente nella galleria dell’allora famoso antiquario Ivan Bruschi.
Ivan fu molto amabile; con il tempo diventammo amici. Mi sconsigliò di vivere ad Arezzo: “È una città puramente commer-ciale, le suggerisco di provare altrove”.
Proprio in quel momento entrò nel suo negozio un antiquario che viveva nelle vicinanze di Cortona. Ivan mi presentò; la stessa sera mi accompagnò a Cortona.
Piergiorgio e Luciana Frassati
La mattina visitai la stupenda cittadina e incontrai il signor Carresi, un imprenditore edile, che mi propose l’affitto di due case in “Poggio”, l’antico nucleo di Cortona, nella città alta. Apparte-nevano alla signora Luciana Frassati, la sorella del beato Piergior-gio Frassati . Ne affittai una come abitazione e l’altra, che aveva una grande sala luminosa, come studio.
Il pastello viene considerato una tecnica minore, al pari della tempera e dell’acquarello. Pensando ad una “gloriosa” carriera di pittore, decisi di dedicarmi soprattutto all’olio. Cominciai quindi una serie di dipinti, usando con grande libertà la spatola. Non ba-davo minimamente al colore che ad ogni colpo di spatola cadeva sul bel pavimento, stile rinascimento: pian piano si coprì di una crosta oleosa, indelebile e inamovibile.
Dopo due mesi arrivò la signora Luciana per controllare l’andamento delle sue proprietà. La sorella, meno generosa verso i poveri del suo beato fratello, mi sfrattò seduta stante dallo studio, e mi fece pagare un nuovo pavimento. Dovetti ritirarmi nella casa dove abitavo. Questa però, una costruzione medievale, era buia e angusta. Dipingere lì era impossibile . Ero costretto a cercare altrove.
Santa Margherita
Non so come mi venne l’idea di salire verso il santuario di Santa Margherita che domina la Val di Chiana , e di suonare al-la porta del convento francescano adiacente. Sono sicuro che il beato Piergiorgio ci mise lo zampino o, se preferite, la mano.
Mi aprì il padre Guardiano. Chiesi se aveva qualche locale da affittarmi per dipingere e, per mettere le cose in chiaro, aggiunsi subito che ero ebreo. Chi sa se fu proprio questo che convinse il frate: mi accompagnò verso un piccolo chiostro interno, chiuso a vetrate; lì avrei potuto dipingere.
Per evitare altri sfratti, decisi da quel giorno di rinunciare alla pittura ad olio. Da allora fino ad oggi, mi dedico esclusivamente al pastello.
Il concentrarsi su una sola materia ha certi vantaggi: la conosci sempre meglio e puoi sfruttarne le diverse caratteristiche. Fino a quando un pittore non domina la propria tecnica, non può acqui-stare una sua libertà di espressione .
Quando qualcuno mi chiede – succede – quanto tempo impiego per dipingere un quadro, rispondo sempre: “cinquant’anni”. Do questa risposta sia perché è la verità, in quanto in un certo senso ogni quadro è figlio degli antecedenti. Ma rispondo così anche a qualche furbo che vorrebbe calcolare quanto guadagno all’ora. Se rispondo per esempio “due ore” e chiedo 1000 euro, quello crede che guadagno 500 euro all’ora. Quindi: cinquant’anni di lavoro per un quadro che costa 1000 euro non è molto. Chi è interessato a sapere di più sul mio curriculum di pittore, può documentarsi su internet, cliccando www.dlifschitz.com
Passai quasi due anni a Cortona, dall’inverno 1964 all’ottobre 1966. Ormai avevo trovato dai francescani di santa Margherita uno studio tranquillo. Per raggiungere il mio chiostro dovevo per forza attraversare ogni giorno il santuario; lì mi salutava dalla sua urna la Santa peccatrice con il corpo incorrotto. Ciò allora non mi interessava più di tanto, ma forse era lei ad interessarsi di me. Donna che in gioventù fu schiava delle passioni, doveva sentire simpatia per un giovane che, almeno in questo, era della sua stessa risma.
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