Lo spazio espositivo della Galleria Angelica ha imposto di trovare un filo conduttore a questi mondi fantastici – o “partecipativi”, come li definisce lo stesso artista –, filo che è stato individuato nei suoi quadri “notturni” e in quegli squarci neri sui quali si protendono le architetture di Giò e Artù. Cieli stellati nei quali sembrano annullarsi le differenze tra questi due pianeti contrapposti ma simili. Emblematico in questo senso il quadro Pianetà Artù. La ricerca della perfezione, interamente giocato sul contrasto cromatico tra la grande composizione al centro dai colori pastello e il nero spaziale che la circonda. In quest’opera, del 1996, si possono ritrovare molti tratti tipici dello stile di Boni: per esempio l’influsso della pittura metafisica ravvisabile in quello che sembra un gigantesco capitello con volute ioniche inserito, come nella migliore tradizione surrealista, al centro di uno scenario notturno. Non mancano poi alcune sue tipiche figure come il vegetale a sinistra o il minuscolo personaggio inginocchiato al centro che appare rispecchiato da un altro piano parallelo. Tutta la composizione è anche uno studio sul nero, un colore che l’artista utilizza in quasi tutti i suoi quadri per conferire maggiore profondità spaziale ai suoi paesaggi.
Un’altra opera che denota chiaramente i riferimenti di Boni è il Pianeta Giò. Lotta di galli, dove la presenza incombente del gallo che spunta dalla finestra a destra è un richiamo a certe immagini surrealiste di Alberto Savinio. Per giungere, infine, agli omaggi diretti a Mondrian e Pollock, rispettivamente in Pianeta Artù. Piccolo vulcano spirituale e Confine tra i pianeti Giò e Artù. Gli influssi fin qui elencati confermano l’abilità inventiva di Boni che riesce ad assimilarli e a farli “suoi” senza ridurli a semplici citazioni. Le sue sono sempre immagini meditate a lungo e poi rielaborate in più fasi. “La logica evolutiva del linguaggio plastico da forme naturalistiche a forme sempre più astratte – scrive l’artista – trova nell’operazione concettuale da me effettuata una totale inversione. Torna la natura in forme immaginate, intuite. Tutto diviene illustrazione, rimando metaforico e simbolico…” . La sua arte, ed è lo stesso Boni a dirlo, si presenta come “ermeticamente chiusa”, ma non esclude chiavi di lettura attraverso metafore o giochi semantici. Compito della pittura, quindi, è di esplorare questi mondi “partecipativi” attraverso l’invenzione di nuove forme. E la sua conclusione ci sembra l’introduzione più diretta alle sue opere: “In luoghi astratti di non identificate galassie, la vita pulsa e prosegue” .
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