Biografia
Ci sono dei punti fermi nella pittura di Piero Toresella.
La rete, l’uso di siglare i suoi lavori con un reticolo a larghe maglie che contiene, segna, nega quasi l’immagine dipinta dietro di essa.
L’ambiguità, la possibilità di letture plurime, irrisolte.
L’Anti-contemporaneo, che di primo acchito suona come una condanna dell’attuale, ma che in realtà, senza la linea divisoria in mezzo alla parola (ed ecco subito un’ambivalenza) contiene l’aggettivo “antico”, prima di “nteporaneo”, volendo così inserire la storia nella contemporaneità, in un continuum indissolubile, senza assurde suddivisioni compartimentali. Riflette il pensiero di Jean Clair, per cui i musei specializzati di arte antica, rinascimentale, contemporanea….in realtà spezzano il concetto fluido e ininterrotto del tempo. L’arte contemporanea non vive senza il supporto, il sostrato imprescindibile della storia.
Una pittura –non pittura. Nel senso che nega – scostandosi - il carattere fondante della pittura tradizionalmente intesa, da quella veneziana a quella spagnola, agli impressionisti, cioè la pittura di sommossa materia pittorica, che con le vibrazioni cromatiche, il gioco scoperto delle pennellate, visualizza il mondo circostante e l’atmosfera che l’avvolge. La sua al contrario è una pittura liscia, che smorza l’impulso della materia, le superfici appaiono compatte, senza sbavature, in una definizione asettica, innaturale nelle precise scansioni chiaroscurali. Si sottrae al colore. La sua infatti è una pittura fondamentalmente in bianco/nero, nella persistente volontà di un’espressione contenuta, che rinuncia alle piacevolezze di superficie, a favore di un impellente contenuto concettuale. E’ propriamente una pittura concettuale.
L’uso costante delle fotografia come punto di riferimento da cui nascono le immagini, filtro meccanico che si interpone tra il reale e l’immaginario rappresentato.
L’artificio, incarnato nel ciclo “vanitas” dove il manichino, il simulacro inerte si sostituisce all’umano