Biografia

Massimo Turlinelli

Spesso mi è capitato di vedere i lavori di Massimo Turlinelli, e sempre c’era qualcosa che non riuscivo a cogliere fino in fondo. Più volte mi sono chiesto cosa non riuscivo a capire nei suoi quadri, cosa mi disturbava l’occhio, e, soprattutto, la mente. Eppure tutto sembra semplice, forse fin troppo: “certo che il trapassar dentro è leggiero”. I paesaggi privilegiano teorie di alberi, per lo più pini o cipressi: Immagini talvolta molto rigorose, talvolta fantasiose. Qualcosa, però, continuava a non essermi chiaro. La mia “idea” del paesaggio è quella “toscana” e cioè di un paesaggio sapientemente costruito, in cui il contadino ha progettato ed è intervenuto non lasciando niente al caso. La campagna di Turlinelli è in alcuni momenti almeno più lirica, pare quasi suggerire una memoria infantile.
Qualche tempo fa, andando con Massimo nelle Marche, a Fermo, a casa sua, improvvisamente ho capito cosa c’era di incoerente, di disomogeneo, nei suoi disegni. La contaminatio dei ricordi della sua terra di origine (“Mirava...quinci il mar da lungi, e quindi il monte”) con l’osservazione presente della terra di adozione.
La sua arte, quindi, solo così si spiega: nel momento in cui si collegano i ricordi di un paesaggio dell’infanzia e dell’adolescenza con le sensazioni più mature e adulte suggerite dalla realtà strutturata del paesaggio toscano quotidianamente rivisitato
dalle sollecitazioni di momenti di grande importanza, troppo spesso negativa, del nostro tempo. L'artista è venuto, così allo scoperto, come estratto dal suo mondo di sogno e gettato in un mondo di passioni e di sofferenze, però anche privo di gioie.

Emilio Daddi