Biografia

L’arte di Aysel Annagieva, in equilibrio
Gli ultimi lavori di Aysel Annagieva stanno a un crocevia dove si incontrano numerose strade, generi, culture. Non è ancora un punto calmo, una piazza o un lago quieto, bensì un botro magmatico nel quale le correnti di più fiumi si mescolano con impeto.
Un territorio sul quale persistono ancora le tre grandi religioni monoteiste, sebbene la maggioranza della popolazione sia mussulmana scita e la cui cultura visiva, per motivi dogmatici, prediliga la decorazione alla raffigurazione: una decorazione che si sublima nella tradizione delle vetrate a mosaico costruite con l’antica tecnica shabaka, senza utilizzare chiodi e colla, o nei motivi dei tappeti sumakh e dei più preziosi shirvan.
Ma è palese, nella Annagieva, anche la dicotomia del tutto occidentale (frutto dell’apprendistato in Europa e in Italia) tra figurazione e astrazione che sta alla base della modernità, fin da quando le avanguardie del primo Novecento archiviarono definitivamente la tensione mimetica della pittura antica, vuoi in favore di una rappresentazione che riguardasse più l’artista che il fruitore (si pensi all’impressionismo o all’espressionismo), vuoi in favore del desiderio di scomposizione della forma (vedi futurismo e cubismo), vuoi in favore del tentativo di suscitare emozioni prescindendo dalla realtà come riuscì agli astrattisti.
E proprio all’astrattismo lirico rimandano i lavori di Aysel, soprattutto al genio di Paul Klee, interprete massimo di quella tensione, anche coloristica, che contraddistinse un modo di fare astrazione non ridotto alla pura essenza geometrica, ma teso a rappresentare l’universo sentimentale dell’artista (anche con l’utilizzo di figure), sostenendone la libertà creativa e gli aspetti più originali e persino infantili. In questo senso si pensi a un’opera capitale di Klee come il “Senecio” del 1922 dove l’artista svizzero, pur rappresentando un volto umano, lo stilizza e lo scompone nelle sue forme più semplici, il quadrato e il cerchio, così che l’elemento onirico e astratto prevalga sulla figurazione, e il tratto giocoso fanciullesco (alla modigliani) che rimanda all’arte primitiva extra europea (di stampo picassiano) lo innalzi a caposaldo della ritrattistica moderna, una summa di tutte le nuove tensioni della contemporaneità.
Allo stesso modo funzionano i quadri più recenti della Annagieva, passata da un tipo di pittura quasi gestuale - una figurazione tra fauves e neo primitivismo – a un controllo formale in cui l’elemento coloristico strabordante viene trattenuto e regolato dall’impianto a formelle quadrate. Lo studio della figura umana, nello specifico del volto femminile, passa così attraverso una sorta di scomposizione cubista, per certi versi astratta, fauves per quanto concerne la tavolozza, ma molto pop per l’uso degli acrilici, fino a a una dimensione (in certe tele) al limite della semplice decorazione quasi che il sentimento avesse trovato argine in una dimensione meditativa e spirituale: la decorazione, in fin dei conti, è una sorta di preghiera, di litania innalzata al proprio Dio, di ripetizione di forme che infine si fa canto.
Certo, la giovinezza e l’allenamento della Annagieva permette la concentrazione massima per trovare il punto di “equilibrio” nell’operare di forze centrifughe, tra astrazione e figurazione, iconodulia e iconoclastia, raffigurazione e decoro, che presto – siamo sicuri – troveranno sintesi ulteriore.
Angelo Lorenzo Crespi