Biografia
REMIGIO FABRIS
L’arte è fatta per turbare: lo ribadiscono con straordinaria evidenza le opere di Fabris, autodidatta che dal 1997 sente l’urgenza di dare espressione alla sua interiorità e trova nell’arte, sia pittorica che scultorea, la modalità a lui più congeniale per dare voce a ciò che altrimenti sarebbe inesprimibile.
La piena consapevolezza della sua ricerca artistica arriva con la decisione di abbandonare la passionalità dei colori in favore di un bianco e nero che con maggiore forza ed efficacia sa farsi latore dei messaggi che l’artista intende trasmettere, enfatizzando il silente urlo dei suoi soggetti.
Questi mostrano, anche attraverso il taglio inconsueto che egli dà alle scene raffigurate, il lato oscuro della realtà, la dimensione delle più meschine pulsioni istintuali e delle fragilità umane, in una denuncia vibrante e scomoda, attraverso opere che non fanno sconti né offrono possibilità di riscatto.
L’iniziale senso di repulsione che queste opere producono nell’osservatore, tuttavia, viene presto superato dalle riflessioni alle quali la ricerca artistica di Fabris obbliga, e che trova imprescindibile complemento nel titolo, fondamentale chiave di lettura per una reale fruizione e comprensione dell’immagine.
I dipinti denunciano con forza le conseguenze del grave disagio che contraddistingue il nostro tempo, trasponendo su tela o carta la disperazione e la frustrazione di quanti, non riuscendo più a dare un valore a se stessi, accettano addirittura di alienare la propria persona, scendendo a continui compromessi coi poteri forti e assoggettandosi servilmente alla natura atta a corrompere del potere, già indagata dal poeta e pittore William Blake, autore particolarmente apprezzato da Fabris.
L’artista, infine, racconta la solitudine prodotta dalla diffusa indifferenza, dal dilagante egoismo, inteso come espressione rozza dell’individualismo. Un analogo disagio, all’inizio del Novecento, lo avevano urlato i colori squillanti e volutamente stridenti dell’espressionismo tedesco di Kirchner, che attraverso atmosfere molto simili a quelle evocate da Fabris, ha tradotto su tela un malessere evidentemente ancora attuale.
Dott.ssa Erica Bortolami