Da circa un secolo si assiste al proliferare della pratica del ready-made (e dell’objet trouvé) e alla ridefinizione del senso di quella pratica, innestandola su forme d’arte emergenti. Il risultato non è sempre quello di una compiuta sintesi ma più spesso quello di un abuso della politica di Duchamp.
Ci sono casi in cui l’intuizione duchampiana non resta un elemento-ricordo, un feticcio immobile, ma diventa un terreno sul quale gli artisti lavorano per approfondire il suo significato originario. Così accade nei lavori dell’islandese Margrét Blöndal. Lavori che non sono solo allusioni (come l’artista ama chiamarli) ma inviti per lo sguardo, inviti a soffermarsi sul nonsense della realtà oggettuale e, allo stesso tempo, sul significato perduto e dimenticato di “cose” che vivono sotto i nostri occhi ma che sembrano di nessuno, distanti e ineffabili. Allusioni che sono anche illusioni: un tappetino di gomma che sembra di solida terracotta, tre piccole sculture unite da una rete che sono in realtà dei guanti di gomma estroflessi, e così via… l’oggetto viene manipolato per poter esistere e significare: siamo al paradosso del ready-made.
Le sue installazioni spesso includono acquerelli e serigrafie, instant images, fermi immagine di attimi insignificanti o di vita immaginaria e fotografie, nelle quali si rispecchia lo stesso sentimento del tempo che scorre noncurante dell’uomo.
Oltre questo accanimento sul tempo, nei lavori della Blöndal c’è anche una sottile attenzione alla categoria dello spazio, uno spazio che tende a dilatarsi e a diventare immaginazione, e che è suggerito qua e là, ora da una cavità ora da un bastone che sembra infilzarsi nella parete. Il suggerire si ammanta di strane connotazioni: da una parte l’artista non vuole dichiarare, si muove con discrezione e leggerezza e vorrebbe che le sue opere non apparissero con evidenza, dall’altra ci porta per mano verso la comprensione dei fenomeni, giocando con le nostre percezioni.
Nel lavoro così attentamente studiato la Blöndal non trascura mai il colore, del quale predilige i pastelli e in particolare l’azzurro e il rosa, i colori della vita per antonomasia, del maschile e del femminile, dell’aereo e del terreno, che ci riportano alla base emotiva ed esperienziale la quale, nonostante l’apparente anonimia dei suoi lavori, fa da punto di partenza della sua creatività.
Margrét H. Blöndal è stata nominata nel 2006 per l’Icelandic Visual Arts Awards.
Estratto dell’articolo pubblicato su Espoarte, n. 48, agosto-settembre 2007.
Commenti 1
Inserisci commento