Nicola Villa, al contrario, con il suo segno graffiante e il suo sguardo disincantato ha il potere di trasmettere l’essenza – la forma, l’odore, il sapore – di quel susseguirsi così speciale di muri, tegole e finestre. Villa, del resto, ha la capacità di rappresentare l’anima delle città senza riprodurre immagini oleografiche buone solo per cartoline da vendere ai turisti.
Il suo percorso comincia dalle strade di Harlem, popolate di una varia umanità pregna di vita e di storie, tutte degne di essere raccontate. Passa lungo le calate dei vecchi moli del porto di Genova, dove ha scelto di vivere e lavorare perché lì trova un tessuto urbano e mediterraneo che ispira la sua arte e, tra una sessione e l’altra di pittura, può dedicarsi alla pesca, la sua grande passione. E arriva a Parigi, porto sicuro per naviganti senza meta e tappa obbligata per artisti di ogni provenienza, con la voglia e l’ambizione, forse ingenua o forse utopica, di guardarla e interpretarla con occhi nuovi.
Dimenticate il Louvre e l’Arc de Triomphe, dimenticate la grandeur e la retorica che ammanta l’iconografia consueta della Ville Lumière. Villa ci accompagna in luoghi noti indicandoci scorci nuovi, o meglio, suggerendoci un nuovo modo di osservarli. Si va da place de la Bastille a Montmartre, dove ogni giorno passano migliaia di persone, parigini e turisti, lavoratori e perdigiorno, francesi doc e sans-papiers. Sono questi passaggi umani, ancora prima e ancora più degli spazi fisici, a interessare l’artista che ci presenta una città multietnica e multiculturale, viva e contemporanea, fatta di uomini e di donne che si incontrano o, più spesso, si sfiorano limitandosi ad accostare una solitudine all’altra.
(Estratto testo critico a cura di Michele Tavola)
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