Decostruzioni
Mostre, Roma, 19 March 2009
Andrea Marcoccia
Decostruzioni

Inaugurazione

18 Aprile 2009

Fino al 18 Maggio

Loft Gallery Arte contemporanea
Via Margherita 47
Corigliano Calabro (CS)
www.loftgallery.it-0983 83703


Presenze metropolitane


“La prima idea di un lavoro creativo è appena una luce che si accende, per un attimo, sull’opera d’incanto già compiuta” riferisce Vincenzo Cerami nei suoi “Consigli a un giovane scrittore” e il difficile compito di chi come me si appresta a raccontarla con le parole, è quello di rintracciare tutti gli elementi che hanno concorso a ricreare quell’incanto. Andrea Marcoccia non crea semplicemente immagini, le provoca, come un’urgenza di esteriorizzare una condizione mentale e soprattutto esistenziale. L’immagine pittorica è narrazione intima, una visione “mascarade” della realtà filtrata dalla memoria, pittura che occupa uno spazio e da quello spazio ci parla: il quadrato bianco della tela riconsegna uno sguardo particolare di una immagine scolpita nella memoria, troppo lontana per poterla ricostruire minuziosamente in ogni sua parte e perciò ricreata come mitologia del reale in cui si rispecchiano le essenze segrete e rimosse del vivere, le nostre intime fibre quotidiane, sintesi del nostro percorso, fremito di vita vissuta, indizio di una alterità perseguita e tracciata. La sollecitazione del mondo esterno, il vivere nelle strade e dentro i palazzi di grandi città come Roma, ricadono sulla scelta iconografica che privilegia la metropoli come oggetto di indagine, punto di partenza e di arrivo, e sull’utilizzo del più tradizionale dei medium: la pittura ad olio. Sin dagli inizi dell’Ottocento la pittura si è calata in una nuova realtà sociale, in un sistema relazionale diverso e più vasto, attraversando due secoli di storia dell’arte in cui ha rivendicato con forza la propria centralità a dispetto di coloro che la davano per morta, quando ad esempio l'invenzione della macchina fotografica le tolse il compito di riprodurre fedelmente la realtà. Ma lo strappo infine consentì agli artisti di indagare altri aspetti del mondo circostante, di correre sul crinale di un’epoca storica che rompeva con la tradizione, rinnovando la capacità di osservare con partecipazione e disincanto la realtà esistente, sottratta all’effimera contingenza materiale e restituita al nostro sguardo con rinnovata vitalità. Questo il compito che la buona pittura ha perseguito fino ad oggi, svecchiandosi dal punto di vista iconografico, conservando la propria qualità artigianale racchiusa nel concetto stesso di technè e accogliendo in sé dalla metà degli anni Ottanta contaminazioni e sconfinamenti linguistici provenienti dall’estetica metropolitana, dalla moda, dalla musica, dal cinema e dal fumetto. A questa nuova figurazione italiana, alla volontà di palesare l’immagine e la sua riconoscibilità per riconsegnare alla pittura la propria missione mimetica, su una linea di pensiero che la riconduce all’antica tradizione vedutista, superata dall’assimilazione di tutto l’inesauribile armamentario contemporaneo, si iscrive quest’ultima mostra che Andrea Marcoccia proporrà all’attenzione del pubblico.
Il progetto espositivo riunisce tre città nostrane, Roma, Cagliari e Cosenza, nella forma di un diario di viaggio che attraversa le molteplici realtà urbane italiane, cogliendone fermenti e pulsioni, storie e memorie, ma, soprattutto, luci e colori. Non a caso l’eredità vedutista, attualizzata con una sensibilità tutta contemporanea, si evince dalla predilezione per le città “aperte”, in cui gli orizzonti si spalancano, gli scenari cambiano in continuazione, e sulla tela scorci cittadini, incombenti architetture, cedono il passo a prospettive più ampie dove lo sguardo non trova impedimenti visivi e l'orizzonte si perde in lontananza fondendo mare e cielo, come accade nell’opera raffigurante la città di Cagliari. In questo modo il linguaggio pittorico sembra ereditare la vocazione millenaria di immaginare il paesaggio non come luogo quanto come dimensione-palinsesto in cui convergono stratificazioni storiche, rielaborazioni intime, trasformazioni ambientali. L’influenza della fotografia e del cinema si evidenzia nella scelta delle inquadrature, nei concetti di mosso, nella messa a fuoco di un particolare che lascia indefinito lo sfondo. L’artista prende il volo raffigurando interi agglomerati urbani dall’alto, che inquadrano topografie di viali e strade, e bruschi scontri con muri, mattoni e finestre e alberi, in ritmica sequenza, oppure rimane ancorato a terra palesando un avvicinamento emotivo che proietta sulla tela scenografie urbane di colori luminosi, a tratti sintetici e acidi, in opere quali “Yellow Tower” ed “Eur Memoria”, prospettive ardite che avvicinano e allontanano con degli zoom esemplari, porzioni di città, nel ciclo di Cosenza, la brillante torre della Stazione Termini rappresentata con inquadrature differenti nell’opera “Trettorri”. Con tratti di pennello dinamici, colature di colore ed imperfezioni ricercate si annulla l’austerità dell’architettura per creare un’impressione sensibile e passionale che ricorda le antiche fotografie, quasi istantanee di una realtà destinata a trasformarsi presto nel tempo, fissate sulla tela appena prima della loro scomparsa. L’aderenza al vero, legata alla tecnica fotografica pertanto abbandona subito le opere per lasciar posto al colore, che assume il ruolo di campo magnetico dello sguardo affiancandosi al valore olfattivo e tattile della pittura. Nessuna caduta nell’iperrealismo, quindi, e nessuna distanza emotiva dall’oggetto rappresentato: Marcoccia ha vissuto queste città, ne ha respirato i profumi, ha camminato per le loro strade, intrecciato varie umanità con cui ha condiviso pensieri ed umori. Il Cromatismo caldo, impregnato di mediterraneità, delle opere dedicate alle città di Cagliari e Cosenza, si raffredda in alcune rappresentazioni urbane di Roma, quando con un sentimento di smarrimento che azzera rituali quotidiani e relazioni umane si tratteggia una città inquieta e svuotata che attrae e respinge il nostro sguardo; penso ad alcune opere dell’Eur, prossime come sensazione alla ”Torre” di Città del Messico, specchio di una città divisa, travestita, che cela sotto la vaga concretezza delle sue architetture, spazi di indicibile che a noi spetta colmare. Di fatto Marcoccia mette al centro l’essere umano, che pure non compare mai nei suoi dipinti, tramite la più grande cellula di espansione dell’umanità: la città. Per questo riusciamo a sentire la vita, l’incessante brulicare di passioni, paure e speranze, nelle pennellate dense, nei non finiti, nei viraggi cromatici: la morfologia umana viene incarnata da un’architettura organica che ci stringe in un abbraccio familiare e al contempo estraneo. Umanità percepita ed esaltata dal video di Christian Nicosia “La potenza degli assenti”, opera che riunisce tre lavori realizzati dall’artista in periodi diversi e sottolinea nel frenetico avvicendarsi di luoghi e persone, di energie attive che si liberano nell'atmosfera cittadina, quel potenziale umano sottaciuto nelle tele. Le visioni notturne dove la città è ripresa dall'alto, baluginante di luci in movimento, alternano vedute ravvicinate, vicine alle grandi arterie stradali gremite di macchine. La prova di una presenza che attraversa le figure dello spazio e gioca con i codici metropolitani è espressa in modo emblematico nel video “Kongloméra” del 2000, dove l'artista afferma il proprio diritto ad essere visto, impedendo con il proprio corpo piantato sulla strada, il libero fluire delle macchine; il momento prodotto dall’invasione del corpo nel campo urbano, ci costringe ad interrogarci sulla presenza dell’altro dimostrando quanto sia facile guastare la meccanica del gioco sociale attraverso la deviazione di un atteggiamento: rivendicare una libertà di scelta nel tumultuoso transito urbano, testimoniare una presenza nelle città disabitate di Andrea Marcoccia.

Commenti 0

Inserisci commento

E' necessario effettuare il login o iscriversi per inserire il commento Login