ESPOSIZIONE PERSONALE DELL’ARTISTA: VINICIO BUTO’
A CURA DI: Sonia Mazzoli STAFF: Silvia Cicio
DOVE:GARD Galleria Arte Roma Design - Via Dei Conciatori 3/i (giardino interno) M Piramide
INAUGURAZIONE: Mercoledì 26 Ottobre 2016 dalle ore 18.00 alle ore 22.30
DURATA ESPOSIZIONE : Dal 26 Ottobre all’ 8 Novembre 2016
ORARI: Dalle 16.30 alle 19.00 - dal lunedì - al sabato ( altri giorni e orari su appuntamento)
INGRESSO: libero - Infotel: +39 340.3884778 - Infomail: soniagard@gmail.com
La GARD Galleria Arte Roma Design presenta con estremo piacere, la prima esposizione personale dell’Artista Vinicio Butò, che racchiude alcuni scorci del suo lavoro artistico, una selezione tra le opere più significative a testimonianza di un percorso artistico che è frutto di anni di creatività, sperimentazione e tecnica. Nei lavori dell’artista Butò si notano netti riferimenti Cubisti e Metafisici, molte opere nascono da emozioni personali provate dall’autore a seguito di eventi spesso drammatici della nostra storia, da qui la scelta del titolo “ Storie”, sarà possibile visitare l’esposizione da mercoledì 26 ottobre fino a martedì 8 novembre.
Cenni biografici
Vinicio Butò - LA MIA STORIA:
Fin da bambino ho avuto a che fare con il disegno, ma non come di solito fanno i bambini che fanno disegni di fantasia. A me piaceva fare ritratti, riprodurre le sembianze umane. Quando avevo otto anni i miei genitori mi regalarono una scatola di acquerelli. Cominciai così ad avere a che fare con il colore, e lo ricordo con molta gioia. Intorno ai 14 anni iniziai ad utilizzare l’olio. Dipingevo principalmente paesaggi ed alcuni miei quadri vennero venduti a turisti americani che visitavano Napoli, città dove vivevo. Terminato il Liceo scelsi la facoltà di Ingegneria, e dopo la laurea ho lavorato come ingegnere per 50 anni, senza però mai lasciare la pittura e, soprattutto, la voglia di esprimere, in modo personale, il mio mondo interiore. Fui presentato al pittore Emilio Notte, che accettò di farmi da maestro. Erano gli anni ’60. L’incontro con Emilio Notte è stato per me determinante; mi insegnò a guardare la realtà con occhio da pittore e ad esprimere sulla tela la realtà che avevo dentro, non quella oggettiva esterna. Si è aperto per me un intero mondo. Ho cominciato a seguire la filosofia del cubismo e della pittura metafisica. Ho utilizzato tutte le tecniche: grafite, pastello, olio, acrilico, collage, materica. I temi dei miei quadri sono sempre stati storie di vita, avvenimenti recenti che mi avevano colpito. In quel periodo ho conosciuto altri pittori importanti. La moglie di Emilio Notte, Maria, pittrice anch’essa, che apprezzò la mia pittura e che volle presentarmi a Mario Persico. Bruno Donzelli, con cui passai un Capodanno a dipingere insieme a casa sua. A Parigi conobbi Lucio Del Pezzo, che mi accolse con amicizia essendo anche egli allievo di Emilio Notte. Mi diede utili consigli soprattutto di carattere tecnico.
Negli anni 2000 sono rimasto isolato per molto tempo. A seguito della malattia di mia moglie, ho smesso di lavorare e di dipingere. Nel 2015 ho ripreso in mano i pennelli ed ho ritrovato la mia pittura. Ho pensato, studiato e realizzato un ciclo di quadri ispirati alle forti emozioni provate a seguito di eventi drammatici della nostra storia recente. Rappresentano il mio desiderio di partecipare al dolore con la visione purificatrice della pittura.
Scrive di lui Laura Bargellini
Sulla formazione di Vinicio Butò ha una notevole, anche se indiretta, influenza, la visione delle forme artistiche che hanno attraversato il Novecento, in particolare: il cubismo, il futurismo e la pittura metafisica. Le opere di Butò tendono alla costruzione di uno spazio “racchiuso” e nello stesso tempo immaginifico, libero da qualsiasi convenzione stilistica, sorretto da un uso appropriato delle tradizioni costruttive, una assoluta continuità tra l’elemento formale e l’insieme, con un intenso contatto con la realtà. L’artista sceglie il colore come mezzo per far vibrare la segreta realtà della anima, usandolo nella quasi totale purezza, come valore assoluto, riuscendo così a svincolarsi dalla realtà oggettiva delle cose. Butò vive le proprie opere come esperienza interna e i mezzi espressivi che utilizza, quali la forma e il colore, si compendiano nella trascrizione fedele della sua risonanza emotiva, che la realtà produce nel suo animo. Questo amore per l’Arte lo induce a rappresentare una pittura affascinante, per il sottile equilibrio tra la solidità formale e la libertà immaginativa che egli coniuga genialmente attraverso la razionalità grafica e la capacità di una evocazione simbolica. Le opere di Butò garantiscono quella continuità tra arte e vita, che è l’idea base dell’artista. Con Butò ci siamo incontrati nel Luglio del 2016 e subito mi ha espresso come le forti emozioni di questo inizio del secolo, “fragori di violenze”, lo hanno indotto ad interpretare questo percorso artistico. Sorride, senza guardarmi, preso dai suoi pensieri mentre mi illustra i suoi quadri ed i suoi perché, ed in quel momento, mi appare come un adolescente che va fiero delle sue emozioni. Aggiunge: “sono stato in qualche modo costretto ad intervenire con la pittura, che è la modalità per me più confacente per stigmatizzare questi terribili accadimenti”.
Le parole scivolano veloci e chiare mentre mi illustra le sue ultime opere oltremodo significative.
Butò interpreta i suoi lavori attraverso diverse sfaccettature, un parallelo calzante potrebbe essere: un fulmine attraversa la volta celeste esprimendo tutta la sua potenza lasciandoci sbigottiti.
Subito dopo arriva il tuono più lungo, più profondo…devastante… che lascia segni indelebili.
Il filo logico e artistico di Butò è sempre coerente. Il suo primo quadro della rassegna 2016, intitolata Storie, interpreta la “rabbia” e la sopraffazione verso una parte dell’umanità: l’olocausto.
BIRKENAU è il titolo dell’opera. L’artista dipinge il campo di concentramento visto in lontananza evidenziando l’immobilità di un evento senza nessuna possibilità di fuga, dove l’effetto finale si evince dalla fossa comune dove i corpi giacciono senza pudore ed identità. Qui la mano dell’artista, con un ultimo senso di pietà, li colora pastellandoli di teneri toni cerulei come a volergli restituire quella dignità che la ferocia del regime aveva tolto loro. Senza speranza sono anche le “rotaie dei vagoni” che infrangono sulle mura del campo di concentramento senza via di ritorno. Butò dice: “sono voluto partire dall’olocausto per far capire che oggi, come ieri, con fredda determinazione, si possono sterminare popolazioni inermi”. Il filo conduttore è l’odio, che può essere di ordine razziale, religioso o di potentato. Un’analisi filologica è molto complessa, dice, ed è difficile da derimere, ma gli effetti sono sconvolgenti. Butò nel quadro NEW YORK 11-09-2001 è in grado di esprimersi su due piani. Quello emozionale e quello d’immagine. Notevole la soluzione strutturale del quadro. Una prima visione fotografica, poi la mano che interviene, rappresentandone gli eventi.
Le torri colpite da raggi rossi, come un’operazione chirurgica che sana ma, in questo caso, produce la tragedia che tutto il mondo amaramente ricorda. E ancora LA STRAGE DI BOLOGNA dove Butò invita a non dimenticare e sceglie con accuratezza gli elementi, i colori, le forme che riflettere in modo surrealista. Blocca il tempo per non dimenticare. In tutte le sue opere è in grado di trovare, con mezzi artistici puntuali, il significato profondo degli accadimenti, il filo spinato, una mare insanguinato, il ventre della madre lacerato, un sole nero che non splende e incapace di scaldare, strumenti musicali il cui suono è interrotto per sempre. Elemento comune nelle sue opere, utilizzato come filo conduttore, è la piccola, inerme ed infantile mano rossa che si arrende agli eventi che la sovrastano. Butò è un artista che trova con estrema immediatezza gli elementi pittorici, e assembla con senso costruttivo e coloristico con consapevolezza e pregevolezza artistica.
Cenni Storici GARD, Galleria Arte Roma Design, nasce nel 1995 con una specifica attenzione alla sperimentazione di nuovi linguaggi artistici e all’utilizzo di materiali di recupero e riciclo per un eco-design ed un’eco-arte che rispetti l’ambiente-mondo e l’ambiente-uomo. Dal 1997 GARD sceglie come ubicazione uno spazio di 600 mq. tra il Gazometro e la Piramide Cestia, ex zona industriale del vecchio porto fluviale di Roma. Spazio multifunzionale che si presta periodicamente per esposizioni ed eventi di arte, design e cultura, affiancando attività di promozione a laboratori creativi dedicati alla manualità, dedicando una specifica attenzione alla sperimentazione di nuovi linguaggi artistici e all’utilizzo di materiali di recupero e riciclo. Il 20 ottobre 2011 la Galleria viene coinvolta nell’alluvione di Roma ed è costretta a chiudere. Ci vogliono tre anni per poter bonificare e riqualificare i locali, tamponare e far fronte ai molti danni, viene fatto un progetto e un intervento di riduzione spazi e nuova destinazione d’uso di alcune aree. Non manca mai in questi anni, la volontà e la grinta che l’ha sempre contraddistinta. Dopo un percorso di ricostruzione e di ripresa emotiva durato tre anni, GARD può finalmente riaprire nel novembre del 2014, con un numero minore di sale, ma con la qualità e l’originalità che da sempre la contraddistingue. E infatti, questo spazio torna con effetto immediato a rappresentare un importante punto nevralgico per gli artisti emergenti, un punto di raccordo e sperimentazione. Oggi sono circa mille le figure che operano nel settore artistico, tra architetti, designer, artisti e artigiani, che partecipano a rendere GARD unica a Roma.
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