E’ sempre interessante soffermarsi ad analizzare un dipinto di matrice gestuale e informale. Perché ciascuno di noi di fronte alla negazione della forma ha reazioni, sussulti e stimoli differenti. Chi vi ravvede un flusso quasi molecolare, chi un richiamo alla natura, chi addirittura forme celate, nascoste. Ma nessuno come il creatore della stessa, ha la chiave di lettura per spiegarne il senso profondo, le intime pieghe ed il valore umano oltre che estetico dell’opera d’arte. E così che mi sono piacevolmente ritrovata a leggere ed osservare insieme le opere di Eugenia Liaci selezionate per la sua personale a Gubbio, in Umbria, accompagnate da una saggia recensione dell’artista stessa. Eugenia è una pittrice materica di ricerca, ricerca dei materiali delle sabbie e delle misture, delle rese texturizzate dei fondi, fino alla minuziosa resa cromatica che passa attraverso uno studio filosofico di grande valore, dove, citando Rudolf Steiner, ”Il bianco è l'immagine animica dello spirito, il nero è l'immagine spirituale della morte, il rosa è immagine vivente dell'anima...". In tutto questo c’è lo spirito evocativo della terra, dei metalli come fossero un ancestrale richiamo ad epoche remote. Infatti Eugenia resta colpita ed ispirata dalle collezioni archeologhe del Museo Diocesano di Gubbio, che la ospiterà nel mese di Aprile 2017, e dal corpus di reperti apuli come lei, d’altronde nulla avviene casualmente, da cui essa stessa ricava un filo rosso per tessere una trama fatta di sfumature metalliche e calde. Ma le concatenazioni continuano e si fondono con la storia locale ed il folklore, nulla è casuale, Eugenia non espone, lei propone. Propone il suo personalissimo viaggio a Gubbio, come fosse una fotografa dell’animo, e riporta al pubblico ciò che lei ha sentito di questi luoghi, delle sue architetture, della sua gente, mescolandoli ad altri viaggi, all’oriente ad altri luoghi in un parallelo di grande poesia. Eugenia è un artista complessa, di difficile decifrazione che affronta la sua produzione artistica con grande disciplina, tanto da suddividere le opere in sezioni a sé stanti, ciascuna finemente dialogata con lo spettatore attraverso spiegazioni pregne di evocazioni.
La parola si fa lettera, ed essa si fa pittura.
Elisa Polidori
Storico e Critico d’Arte
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