Mostre, Bologna, 12 March 2010
La censura impedisce all’osservatore di venire a contatto con delle immagini sconvenienti, ma non è sempre detto che ciò che essa produce sia meno imbarazzante o urtante. A testimonianza di ciò basta osservare i barbari defacciamenti che Alexander Rodchenko praticò sui ritratti fotografici del suo album Ten Years of Uzbekistan (1934), foto di personaggi invisi al regime staliniano e di cui l’artista ha cancellato volti e nomi con dense pennellate di inchiostro nero. Immagini a dir poco perturbanti che Brian Dillon, parafrasando Valentin Groebner, ha commentato in questi termini: «Violence was shown in and with pictures, but the pictures showed only a terrifying void».
In maniera del tutto simile Ozne cerca di celare il potenziale erotico delle foto di Yashima, e le ricopre a tal punto, con grumosi strati di colore o fitti grovigli di segni, da catapultare le immagini in una poco rassicurante – sebbene suggestiva – dimensione dell’informe. Di corpi e visi cancellati rimangono quindi vestigia di particolari fisionomici, la sagoma originaria o tutt’al più un incolmabile vuoto.

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