Testi critici, Viterbo, Tarquinia, 17 October 2009
Marzia Roversi è una pittrice quarantenne. Quando dico quarantenne, e ricordo l’età di questa autrice di immagini figurative, la colloco in una nicchia di artisti “ancora giovani”. Fa parte ormai della tradizione della critica d’arte contemporanea, che gli artisti oltre i quaranta anni siano di diversa categoria: di mercato e di livello espositivo.
Marzia (un bellissimo nome battagliero), invece, la consideriamo giovane e come tutti i giovani inquieti, da una parte è artista di tradizione, dall’altra tende a non soffermarsi eccessivamente sull’importanza dei contenuti, che per noi critici militanti sono molto importanti. È, più che altro, un’artista che si diverte ad eseguire ciò che più a lei interessa e la colpisce; non dico che ama qualsiasi situazione, ma d’altra parte ogni opera è una situazione a sé stante, l’inizio d’un ciclo che forse a lei non interessa neppure sviluppare. Alla pittrice non interessa avere sempre, costantemente, una sigla riconoscitiva; le interessa, al contrario, soffermarsi su un vaso contenitore di fiori, comporre dei fondi informali e giocare sul bianco luce, lavorare sull’armoniosità delle forme, oppure presentare le Piramidi, con un soldato di nazionalità incerta; è inquietante, comunque, il passo dell’oca. La stessa artista esegue opera su fondo rosso informale, con un interno di, forse, un’osteria deserta, con il bianco come unico elemento luminoso.
Allora, ci troviamo di fronte proprio ad un’operazione immaginifica di una giovane esecutrice, che cerca e trova in ogni quadro se stessa, ed è dialogante esattamente come un micro-cosmo con un intimismo che lascia spazio alle proprie fantasie e alla poesia dell’oggetto ritrovato.

Paolo Levi, Tarquinia 17 ottobre 2009

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