I lavori presentati in questa mostra sono di quattro differenti tipologie, accomunate tra loro dalla presenza delle luci, siano esse quelle delle insegne delle metropoli o quelle delle giostre dei luna park.
Vi sono i quadri che raffigurano Tokyo e New York, quelli in cui Tokyo viene “invasa” dai manga, un'audiovideoinstallazione multimediale interattiva e due lavori raffiguranti luna park italiani, che vogliono sperimentare un'interazione tra video e pittura.
Ma come è nata la mia ricerca artistica?
Tutto parte dalla mia passione per il fumetto, che è innata in me: ricordo quando da bambino, appena ho imparato a leggere, giravo i mercatini dell’usato in cerca di copie di “Topolino” per la mia collezione, per poi, col passare degli anni, appassionarmi ai più svariati generi di fumetto: dalle collane Bonelli ai grandi autori italiani prima ed internazionali poi (in particolar modo gli autori argentini), fino ad arrivare, negli anni ’90, con la grande invasione dei manga in Italia, alla lettura dei fumetti giapponesi.
Ancora prima di leggere questi manga, ero appassionato, da bimbo, dei cartoni giapponesi, dalle serie con i “robottoni”, specialmente quelle create da Go Nagai (mio idolo anche per aver dato vita all’eroe “dark/romantico” Devilman), tipo Mazinga, Goldrake, Jeeg, a quelle più comiche, tipo Lamù e Dr. Slump, agli shojo, come Candy Candy, Creamy, Magica Emi, Bia, Georgie.
L’incontro con le immagini metropolitane, che peraltro ho sempre ammirato, è stato invece più casuale, dovuto all’acquisto di un libro fotografico su Tokyo alle bancarelle del Balôn (il grande mercato dell’usato di Torino): da quel momento ho iniziato ad ammirare quelle immagini e sognare di far letteralmente uscire dai fumetti e dai cartoni i personaggi, per permettere loro di invadere il mondo reale (un po’ come avevo visto da bambino in “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”, ma in versione pittorica).
La soluzione che ho trovato per mostrare agli altri il mio sogno è stata di creare un “montaggio” al computer del paesaggio reale con i manga, per poi dipingere il tutto su tela con un mezzo tradizionale come l’olio.
Dovendo quindi muovere dei personaggi giapponesi nel mondo reale, quale città meglio della capitale giapponese, così ricca di immagini “forti”, colorate dalle mille luci delle insegne, per inventare storie di buffi omini che si trovano immersi nel traffico fluviale della metropoli, o di enormi mostri sempre intenti alla conquista e al predominio del pianeta?
A questo punto, avendo scelto Tokyo come palcoscenico, non restava altro da fare che decidere da quale dei mille manga della mia collezione “rubare” i personaggi: la scelta è caduta su Dragon Ball per molti motivi:
- è una delle saghe che ho più apprezzato (non tanto nella versione animata, quanto in quella manga)
- ha uno svariato numero di situazioni, da quelle più buffe a quelle più drammatiche, e di personaggi, dai buoni ai “cattivoni”, ai cattivi in continuo dinamismo, che dopo qualche episodio si convertono al bene
- vanta un numerosissimo stuolo di fans ed è seguitissimo in tutto il mondo, quindi universalmente conosciuto e riconoscibile, specie dalle generazioni più giovani.
Sono poi legato ad un certo tipo di immagini cinematografiche, agli scenari di un futuro post-apocalittico tipo Blade Runner o Strange Days, e cerco quindi, nelle mie tele, di imprimere un’atmosfera simile.
Nei lavori con i personaggi per me è fondamentale cercare di creare situazioni buffe o assurde, che a volte, se non immediatamente comprensibili per via della staticità di un’immagine dipinta, trovano una spiegazione nel titolo del quadro, che è sempre la frase pronunciata o immaginata dal personaggio.
L’opera multimediale interattiva You are my cartoon! è costituita da un dittico dipinto ad olio su tela, che rappresenta una strada di Tokyo con delle persone in primo piano.
Tra queste persone ci sono anch’io, che trasporto un televisore dallo schermo appositamente bianco.
Nascosta in un occhio del mio autoritratto vi è una webcam che riprende gli spettatori che si posizionano davanti all’opera.
Il video ripreso dalla webcam viene inviato ad un pc portatile, che tramite un software inserisce tale video all’interno di un breve filmato di cartone animato giapponese.
Il pc portatile è collegato ad un videoproiettore, che riproietta sul quadro la fotografia del quadro, e all’interno del riquadro bianco il video elaborato dal pc (cioè la gente, in presa diretta, all’interno del cartone animato).
Il risultato è che lo spettatore, non appena va davanti all’opera, “entra” immediatamente in essa, entrando egli stesso nel cartone animato.
Gli obiettivi di quest’opera sono molteplici: vuole essere un lavoro che interagisce con lo spettatore, rendendo egli stesso protagonista dell’opera.
Dato che poi normalmente sono le opere ad essere giudicate dagli spettatori, in questo caso è invece l’opera, prima ancora di dare il tempo allo spettatore di giudicarla, a trasformare lo spettatore.
E questa trasformazione non avviene in un punto a caso nello spazio o nel quadro, ma avviene proprio dove l’artista si è autoritratto, integrando il suo corpo con apparecchiature che gli permettano di essere sempre presente nel quadro a “vigilare” sulla situazione e a trasformare in cartone animato chiunque gli passi davanti, senza alcuna distinzione.
Il critico d’arte Ivan Quaroni descrive così l’opera: “Nella più recente video installazione, intitolata You are my cartoon!, l’artista torinese crea un rapporto d’interazione tra il quadro e la realtà circostante. L’opera raffigura una strada di Tokyo con alcune persone in primo piano. Tra queste, c’è un autoritratto dell’artista, con un televisore sottobraccio. Tramite una webcam installata in apposito foro nella tela, l’artista registra i movimenti prodotti dagli osservatori, proiettandoli su una porzione della superficie dipinta. In questo modo, Cerutti dimostra di voler superare i limiti imposti dalla rappresentazione bidimensionale per cercare di approdare ad una sorta di expanded painting, capace di contaminare la fabula pittorica con una serie di fulminee incursioni nella realtà ordinaria, allo scopo di far riflettere lo spettatore sul meccanismo stesso della visione.”
Le mie più recenti opere, che uniscono video e pittura, intendono creare un connubio tra due mie grandi passioni: quella per le metropoli, per le luci ed i colori artificiali introdotti in esse dall’uomo, e quella per il voyeurismo: uno spiare la gente in stile “Grande Fratello”.
Ma non intendo il voyeurismo del Grande Fratello della tv, bensì quello orwelliano.
Di per sé l’idea del Grande Fratello televisivo potrebbe essere anche un interessante esperimento sociologico, ma il concetto di base viene sviluppato male, rendendo il tutto una becera trasmissione in cui un gruppo di persone rinchiuso in cattività non riesce a fare altro che dare il peggio di sé.
Quello che io intendo realizzare nei miei lavori non è focalizzarmi su un gruppo di persone estraniato dal proprio contesto, bensì puntare la telecamere su un contesto, su un luogo, e riprendere ciò che realmente accade in quel luogo, senza nessun intervento da parte dell’uomo, senza nessun canovaccio, senza tantomeno consapevolezza da parte delle persone riprese.
Una vera e propria “candid camera”, nella quale tutto può accadere, ma l’importante è che se qualcosa accade non è perché ci sono le telecamere, ma perché sarebbe accaduto comunque: se io riprendo una banca, ho una minima probabilità di riprendere una rapina o qualcosa di interessante, ed un’altissima probabilità di riprendere invece normali clienti che entrano ed escono dalla banca.
Ma è proprio l’incognita di quello che accadrà nella realtà, nel vero futuro, che ormai è passato ripreso, fermato e fossilizzato nell’opera, ciò che m’interessa.
Quando io filmo una giostra, con tanto di passeggeri, potrà esserci chi si diverte, chi sta male e forse anche chi precipita da quella giostra, ma l’importante è che io ho ripreso la realtà e ho trasformato in attori inconsapevoli persone normali, come avviene peraltro con le innumerevoli telecamere di sicurezza che invadono ormai le nostre città.
Ma la mia telecamera non intende tutelare la sicurezza di nessuno, bensì immortalare un attimo e renderlo arte, lasciando l’incognita su tutto ciò che è accaduto prima alle persone riprese e su tutto ciò che capiterà loro dopo: l’importante non è il chi, ma il dove.
E’ la città ad essere protagonista, ed un angolo diventa involontario palcoscenico di tante storie.
Questo angolo non invade l’intero quadro, ma solo una piccola porzione, proprio per rendere l’idea che, mentre la pittura ferma, come la fotografia, un istante, per riprodurlo su tela, il video ha il potere di raccontare molti attimi, molte storie, ripetendole in un loop ossessivo che determina un’irreale deformazione del tempo, unendo all’infinito la fine con l’inizio, creando così una sorta di realtà parallela in cui un attimo prima sei più vecchio ed un attimo dopo sei più giovane, seppur solo di qualche secondo, minuto, ora o giorno, a seconda della durata del video che viene messo in loop.
Mi affascina l’unione di questo punto A, l’inizio del video, con il punto B, la fine, per cui l’istante BA in cui il video si ripete può essere un piccolo salto impercettibile, come un enorme sbalzo in cui tutto è irrimediabilmente cambiato.
"In un certo senso, quella di Marco Cerutti è una pittura fantastica, perché interpreta il presente alla luce di suggestioni, siano esse fumettistiche o cinematografiche, che rappresentano già, di per se stesse, uno scarto rispetto alla realtà."
Ivan Quaroni - "Big city lights"
"La negazione dell'iperrealismo del tanto diffuso urban landscape contemporaneo avviene esattamente al confine tra quest'ultimo e la sua controparte più astratta, quella che sta all'arte come la fantascienza alla scienza: abbastanza vicina da oltrepassarla."
Cecilia Antolini - “Marco Cerutti” – Espoarte n.° 40, Aprile/Maggio 2006
"[…] La fuga dalla realtà celebrata dal ventinovenne artista torinese non è solo un'interpretazione personale della società giapponese, ma un elemento cardine di questa cultura."
Cristiana Campanini - “Tokyo blues e l’impero dei manga” – Arte n.° 392, Aprile 2006
"Cerutti lavora riflettendo su questo progressivo dissolvimento del reale […] su territori diffusi di fiction. Una fiction che si sostituisce a quel reale amplificandolo, mutandone le caratteristiche in una surrealtà dalle inevitabili connotazioni barocche, proprio come quelle presenti nei manga."
Gabriele Tinti - "Marco Cerutti - Tokyo blues" - Exibart.onpaper n.° 30, Maggio-Giugno 2006
"E’ evidente che siamo al cospetto di una serie di mise en scène emotive, che non scaturisce da un’esperienza metropolitana reale, ma piuttosto, denuncia un’ammirazione sconfinata nei confronti dell’immagine stessa del reale."
Viviana Siviero - "Inaspettato urbano"
"È incredibile il meltinpot che l'artista Marco Cerutti raggiunge nella pittura realfantastica di “Tokyo Blues” […] Un mix di virtuale e reale, costruito al computer […]"
Maria Grazia Torri - “Marco Cerutti”
"[…] La contaminazione visiva ha da tempo smesso qualsiasi forma di confine."
Barbara Federici - "MARCO CERUTTI - "Tokyo blues" – Milano"
"[…] Marco Cerutti, che nei suoi scorci notturni dedicati a Tokyo mette in risalto la frenesia caotica comune a tutte le metropoli, fatta di pubblicità luminose e insegne al neon che offuscano il cielo e riducono i passanti ad anonimi manichini tutti uguali."
Alessandra Redaelli - "Giovani talenti delle Accademie di Belle Arti italiane"
"Insegne che individuano grattacieli, l'uno accostato all'altro, sono interrotte dalla presenza di figure fantastiche, che aleggiano e si muovono nel cielo […]"
Tiziana Conti - "Marco Cerutti"
"Visioni iperrealiste di una città costantemente illuminata; esseri soprannaturali che irrompono nella quiete: è la Tokyo underground dipinta da Cerutti."
Luca Bochicchio - "Marco Cerutti – Tokyo underground"
"L'arte di Cerutti […] per realizzare quella perfezione che non c'è dato di raggiungere nel reale: quel giusto necessario distacco dalle cose, che restituisce dignità e libertà all'ispirazione."
Alfredo Pasolino - "Marco Cerutti"
Nuvole Arte Contemporanea
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Tel.: (+39) 0824 835518
Web: www.myspace.com/nuvolearte
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