Alle immagini quindi non bisogna più trovare significati ma lasciarsi conquistare dalla loro forza evocativa, simbolica. L’artista diviene un veggente, che traduce l’invisibile in forme sensibili, comprensibili a tutti perché espresse in un linguaggio universale, la corrispondenza figurativa dei fantasmi poetici che si trovano nel profondo dell’animo umano. La verità interiore, gli istinti, le paure, i sogni, trovano nel simbolo il punto d’unione con la realtà sensoriale.
Roberto Arduini si inserisce con lucida consapevolezza in questa vasta corrente del pensiero e della creatività, muovendo da una sofferta ricerca di mezzi, forme, materiali fino a individuare sia il suo tema di fondo, il rapporto fra individuo e società, sia i materiali con cui lavorare, in primo luogo la ceramica raku. I due percorsi scorrono paralleli e si fondono grazie alla curiosità, che spinge l’artista a prendere atto del suo bisogno di conoscenza e sperimentazione concreta, a comprendere che il lavoro con la terra, il fuoco, i colori, gli smalti non sono che il punto di partenza dal quale iniziare un viaggio alla scoperta dei propri confini.
In uno dei suoi primi lavori tutto questo è già presente: l’albero, simbolo universale denso di significati, archetipo innato di vita, fecondità, trascendenza, appare costretto nella crudeltà squadrata di una cornice, forzato egli stesso ad assumere una forma che non gli è congeniale, la forma quadrata. Ma le sue radici affondano nel blu brillante di un mare primigenio e i suoi rami si propagano nella luminosità di un azzurro liberatorio: il simbolo, nell’attimo stesso in cui viene proposto alla nostra coscienza, è già risolto in senso positivo. Nell’eterno conflitto tra creatività del pensiero e costrizioni sociali la fantasia vince sempre.
In altri lavori è la forma umana, presentata in un linguaggio immediato e forte, a caricarsi di significati, a sottintendere suggestioni, a celare misteri inquietanti. Come nella “Testa Raku 2”. E’ stato detto che il Raku non si può raccontare, bisogna viverlo per capire a fondo l’emozione, la sorpresa, la bellezza di lavorare con la magia del fuoco. Ma anche allo spettatore finale non può sfuggire il fascino delle piccole crepe disegnate dalla riduzione termica (l’effetto “craquelé), che interferiscono con la severità arcana del volto e la vaga reminiscenza di smalti quattrocenteschi.
E ancora forme umane, nelle più svariate accezioni, ci vengono incontro come altrettante figure oniriche: Ciro, mitologico incrocio tra un drago e un uomo di quercia, segnato come un albero dalle ferite della vita. L’inquietante “Donna squalo”, terrore primordiale ingabbiato e reso inoffensivo all’interno di una solida cornice che rammenta anch’essa, guarda caso, la bocca di uno squalo
In altre opere e installazioni Arduini recupera il senso della monumentalità della scultura e affida al gigantismo delle figure il compito di suscitare in noi un certo turbamento, superato il quale, riusciamo ancora una volta a intravedere la simbologia cara all’artista: l’uomo è un titano che con la forza del suo pensiero riesce a liberarsi dai ceppi che lo rendono schiavo, un “uomo nuovo” la cui grandezza non può restare soffocata da una terra matrigna. O da una società repressiva.
Tema che ritorna nei vivaci acrilici, un mondo colorato e luminoso, punto d’incontro di diverse componenti poetiche e culturali. Qui ogni elemento si carica di significati misteriosi, siamo nel mondo dei simboli e delle allusioni, ma anche della speranza, evocati da forme e colori che richiamano lontane suggestioni di Mirò, Klee...
Bocche vermiglie si trasformano in cuori (forse per dirci che non solo gli occhi sono specchio dell’anima…) si attraggono, ubbidendo al sentimento e ignorando la ragione. Cuori si librano in un’atmosfera solare, emergendo da totem rovinati al suolo, inconsistenti, al limite dell’astrattismo, come a volte la realtà che ci circonda.
Il risultato, come per le sculture, è non solo un appagamento visivo che coinvolge in profondità, ma ha anche una funzione liberatoria, perché, come disse una volta Picasso conversando con lo scrittore André Malraux, «se diamo una forma agli spiriti, diventiamo indipendenti dal loro influsso».
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