IL MITO - Da Warhol a Schifano alla Digital Art
Mostre, Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto, 26 July 2009
MITO

“Idealizzazione di un evento o personaggio storico o del costume che assuma, nella coscienza dei posteri o dei contemporanei, carattere e proporzioni quasi leggendari, esercitando perciò un forte potere di attrazione sulla fantasia e sul sentimento di un popolo o di una generazione”




Il Comune di Sirmione presenta, in collaborazione con la Arte Sgarro di Lonigo (VI), la mostra “IL MITO: da Andy Warhol a Mario Schifano alla Digital Art”, allestita dal 26 Luglio al 23 Agosto 2009 presso Palazzo Callas, in Piazza Carducci.


“Da Romolo e Remo a Giulio Cesare” afferma Matteo Vanzan “da Leonardo da Vinci a Michelangelo, da Giuseppe Verdi ad Elvis Presley fino a tutti coloro che hanno, con la loro immagine, creato un marchio a cui immediatamente si collegano storie e vicende umane, il Mito rappresenta, inevitabilmente, il nostro immaginario collettivo.
Prima era l’iconografia religiosa cristiana o pagana che, prima con statue o bassorilievi e poi con la pittura, aveva il compito di immortalare quei personaggi che avevano dato un impulso sia alla storia che al processo di sviluppo dell’umanità”.
Negli anni Sessanta, la volontà collettiva di tornare a nuova vita, dimenticando i negativi fasti delle Guerre Mondiali, accompagnata dal boom economico, ha fatto sì che l’intera umanità iniziasse a guardare positivamente al futuro.
Erano gli anni in cui non venivano ritratti i personaggi religiosi o storici, ma il cinema, la letteratura, la musica, il teatro iniziavano una nuova vita; si affermavano le prime stelle del cinema (Elvis Presley, Marylin Monroe), le prime grandi band mondiali (Beatles, Rolling stones), i grandi brand (Campbell, Coca cola) che tuttora consumiamo, permettendo all’arte di trovare nuovi miti da celebrare.
La Pop Art si impose all’attenzione del mondo per l’energica scossa che diede a tutti i parametri precedenti della pittura, usando tutto ciò che la comunicazione di massa privilegiava.
Lo stile Pop è euforico, il suo linguaggio semplice ed immediato, accessibile, colorato, dirompente, amato, comprensibile e distintivo, è per sua natura una realtà che viene consumata all’istante, grazie anche alla sua inesauribile fonte d’ispirazione.
I miti, infatti, sono e saranno sempre attuali, sempre presenti tutto intorno a noi, basti pensare, ai giorni nostri, a Valentino Rossi o Francesco Totti.
L’arte, con essi, si è comprensibilmente rinnovata ed evoluta, trovando prima nella Neo Pop Art (Enrico Manera, Marco Lodola, ecc) e poi negli artisti digitali come Carotti, Panichi, Luzi, Rossi, Leccese, nuovi interpreti e nuove tecniche espressive.
Nata negli anni Novanta, la Neo Pop Art presenta rimandi culturali diversificati: dal graffitismo urbano al mondo dell'underground, dall'uso di materiali diversi come plastiche, resine ecc. al mondo dei manga giapponesi, dall'urban art al web design, fino a mescolarsi con riferimenti letterari o concettuali.
Diversa invece la provenienza dell’Arte Digitale, nella quale la fotografia è il pretesto che l’artista usa per iniziare un percorso intriso della pittura digitale.
Adobe Photoshop ed i principali programmi di elaborazione grafica e 3D oggi sono i mezzi tramite i quali le nuove generazioni si confrontano e rielaborano idee e progetti.
Filtri ed effetti digitali, fusioni e trasparenze rappresentano i nuovi termini da utilizzare per i moderni pittori che, al posto dei colori utilizzano i pantoni, al posto della tavolozza la barra degli strumenti di un programma, sostituendo il pennello usuale con quello di Photoshop.


“…In pratica l’artista è tornato a comporre l’immagine come se stesse dipingendo un quadro: la pittura viene citata, riletta e assimilata alla fotografia dando origine a un sincretismo che cela dentro di sé altre regole, altre categorie, altre dinamiche.
E poiché tutto inopinatamente si trasforma, va anche detto – per usare una frase di Michel Butor – che in ogni opera d’arte c’è «una tentazione superata di suicidio.
L’opera d’arte è là non soltanto per permettere di resistere agli altri, ma per trovare un modus vivendi con se stessi».
Di certo non fa eccezione la fotografia che, ormai più che centenaria, è riuscita a rimettersi in discussione pur di procurarsi una nuova giovinezza”

Alberto Zanchetta

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