Nato a Milano il 17 agosto del 1912, ha compiuto gli studi all’Accademia di Brera sotto la guida del maestro Aldo Carpi. Ha esposto a Milano nel 1942, 1950 e 1955, e a Mantova nel 1962 e a Lerici nel 1963. Ebbe il diploma d’onore e la medaglia d’oro nella Mostra del Ritratto alla Cornice d’oro 1972-1973. Le sue opere si trovano in numerose collezioni italiane e straniere.
Fu attento e costante indagatore dell’animo umano nelle sue pieghe più intricate, attraverso uno stile pittorico figurativo teso alla ricerca di cromie forti e contrastanti, influenzate dall’espressionismo di Ensor e dai fiabeschi temi di Chagall.
Nel suo percorso artistico emerge un tormento interiore, talvolta lacerante, espresso nei fantasmi di Morte, nell’allegria di fluttuanti danze macabre, nei segni diabolici provenienti dal cielo, nei maestosi Giudizi divini, temi questi espressi in un monito di redenzione per se stesso e per gli altri, gridato con terrore apocalittico e con accese cromie.
D’altra parte, l’iter creativo è ispirato dai paesaggi del levante ligure e del Lago Maggiore dove, nei lunghi soggiorni, ritrova quella letizia distante dal dramma esistenziale, attraverso un riscatto dell’anima, e in una ricerca semplice della purezza del quotidiano. La natura, la campagna, le vedute collinari primaverili, le tradizioni religiose, i ritratti di parenti e amici e la curiosità per i sereni relax di bagnanti al mare continuano il sogno della stessa passione creativa.
In Bianchi, infatti, la stesura della materia pittorica, tramite per il sogno, i colori vivaci, più spesso violenti, sono la dichiarazione allarmata sullo stato del mondo, del disfacimento morale e di una concreta esigenza di salvazione. Sofferenza interiore e conseguente riflessione sull’umano, generano da una parte figure macabre dalle sinuosità seducenti e proiezione di una realtà celata ma drammaticamente presente e, dall’altra, una meditativa catarsi, ricercata nelle confortanti e sicure immagini della realtà insieme ai propri cari.
Dal maestro Aldo Carpi, in particolare, si può dire abbia appreso, oltre che la tecnica pittorica, anche una sapienza nel narrare ed esprimere la gestualità dei suoi spettrali e lugubri personaggi, forse in parte ispirati dalla visione dai disegni che poi avrebbero costituito il toccante “Diario di Gusen” (pubblicato solo nel 1972), nel quale Aldo Carpi ha raccontato - con drammatica scarnezza e stupore - le figure del campo di prigionia tedesco nel quale fu rinchiuso per circa un anno. Si ritrova, così, in diverse opere dell’artista, l’ispirazione ai medesimi cenci umani scheletrici ed inanimati che danzano al cospetto della Morte: paradigma di una umanità sofferente che, in tempi meno atroci della guerra, è nuovamente ricaduta in una dannata malvagità (complice la sensibilità di una psiche sofferente).
Alla Morte e alle sue danze, si fondono - nella sua pittura - altri due filoni: gli animali e le iconografi e veterotestamentarie. I primi, spesso, sono descritti come corpi inermi, mutilati e sanguinolenti che, inanimati riempiono il foglio di carta esprimendo una sconfortante e sottesa caducità dell’essere tragicamente umiliata. Nelle varie tematiche, i racconti biblici, diversamente, evidenziano energicamente il desiderio di redenzione del pittore, per via di esempi potenti e pieni di energia.
Nella ricerca di Bianchi prevale costantemente un silenzio urlato con dolore, animato da uno slancio e da una efficace tensione all’Aldilà, in cui si rigenera la sua emotiva e umanissima missione operativa e storica, tesa tra un mondo nemico e Dio.
Un paziente lavoro di censimento e relativa analitica catalogazione di parte di quel ricco corpus pittorico lasciato da Gianluigi Bianchi ha messo in luce una straordinaria produzione artistica, sia in relazione ai temi che durante la propria vita il maestro ha trattato, sia per le diverse tecniche utilizzate.
Oli su tela, tempere, acquerelli, carboncini, chine e matite, in dimensioni variabili e, per i disegni, in alcuni casi, realizzati su entrambe le facciate dei fogli, sono stati gli strumenti creativi utilizzati da Bianchi per raccontare le fasi poetiche, introspettive e drammatiche del proprio esistere. Sono emersi cinque diversi temi legati ai momenti emotivi ed espressivi del maestro: la Morte, delineata in danze sarcastiche, deformazioni oniriche e diaboliche che devastano e infuocano il mondo pregno di peccato e cecità del cuore; l’Animo umano, descritto nei suoi silenzi, nelle profonde meditazioni, nei viaggi mentali estranianti e nelle semplici introspezioni del quotidiano che si relazionano con la realtà; i Ritratti, dove ha ampio spazio l’autoritratto, e l’osservazione di diverse figure femminili colte nei propri silenzi meditativi e negli isolamenti incuriositi dalla realtà; gli Animali, dai tratti veloci, sicuri e precisi, tra cui emergono gli alteri e principeschi galli o le crude e sanguinolenti carcasse di animali macellati. Infine, il filone, definibile Biblico, che, intrecciandosi in parte con quello della Morte, fa emergere in maniera preponderante e drammatica la sensibilità escatologica e cristiana di Bianchi, teso, per tutti i trent’anni circa della propria attività pittorica, al rapporto tra Creato e sua fine, tra destino e compimento, tra morte e sogno.
La critica
Ettore Balossi – Chiavari
I raffi nati fiabeschi (l’Asino d’oro), il fascino del paesaggio lombardo pacato e tonale, quelli liguri: S. Rocco di Camogli, S. Salvatore, Reppia, Bosco in fiamme, resi nell’incanto della luce, del colore, del silenzio e senz’altro segno umano, la testimonianza del dolore e della morte ( i diseredati del ghetto di Varsavia), gli animali come simbolo di vitalità, costituiscono il fondamento di una cultura di tono amaro e pessimistico. (…). Nei quadri di Bianchi la ragione è viva, vigile, accorta: è tutta intinta nel sentimento religioso dell’antico mondo mediterraneo, in un monito che non s’è ancora spento. E quanta tristezza nella tematica di Bianchi per questo mondo di falsi titani che il vortice divino ed infuocato inghiottirà e disperderà nel nulla!
Raff aele De Grada (2 gennaio 1943)
A Gianluigi Bianchi che ha esposto alla Galleria 15 Borgonuovo il pennello spesso gli ruba la mano e si mette a fare piroette, a folleggiare come nei giochi d’artificio. Ma per fortuna le virtuose destrezze del Bianchi muovono da un dotato e moderno istinto pittorico che non mancherà, sicuramente, di distinguere ed imporre il nostro Artista.
Spartaco Balestrieri (14-27 febbraio 1950)
Gianluigi Bianchi è uno dei pittori isolati che se ne stanno silenziosi e nascosti nei casamenti della periferia milanese e che a scovarli è come levar ragni dai buchi. Ignoto ai più, anche se non più esordiente, e che la critica ha già parlato di lui favorevolmente, riappare in punta di piedi a questa turbolenta ribalta di valori artistici, con l’attuale sua personale per poi nuovamente rintanarsi nel suo buco, riportandovi i suoi dipinti, appunto come il ragno la sua preda, dopo una fortunata caccia. La pittura di un siffatto pittore non può essere quindi che felpata, tessuta di una gamma tonale notturno-meditativa, se così si può definire la sua naturale tendenza ad una atmosfera per così dire astrale, da cui pare sortire, sia che l’Artista dipinga delle ostriche, dei fuori, un autoritratto o dei paesaggi, (…) le ovattate note d’organo che forse accompagnavano la funzione religiosa dell’interno di chiesa pure qui esposto.
Aldo Carpi (17 novembre 1955, Galleria Schettini - Via Brera 14 Milano)
Mi sento di affermare che l’opera del pittore Gianluigi Bianchi è oggi in una fase chiaramente ascensionale che sicuramente gli aprirà la via del successo che merita. (...) Temperamento piuttosto calmo, si appartò lavorando e dipingendo però sempre, ed anzi non partecipò, per contingenze di vita, che raramente alle competizioni del tempo che era prima della guerra. Ed è questo, a parer mio, una nota di merito per la sua sicura formazione. (...) Così in questi ultimi anni Gianluigi Bianchi s’è posto di lena e, con fede sicura, a dipingere ed a scoprirsi come pittore. Si vede, pertanto, che la sua mente non è mai stata inoperosa perché il suo lavoro oggi dimostra esperienza e sapere, dimostra che chiara è in lui la via da percorrere. I suoi quadri, i suoi disegni sono tutti frutto di meditazione e di pensiero, al seguito di una umana fantasia mai esasperata. Inoltre i quadri di Bianchi denotano la grande bontà ed umanità che è in lui, con forse un velo di tristezza, quale si nota in non pochi artisti creatori lombardi. E infatti il nostro artista creatore nel senso che sinceramente, quasi umilmente, ci palesa l’intimo del suo cuore. Non per questo diviene l’opera sua oscura o sentimentale troppo: è un cuore semplice il suo, che, è solo capace di essere eminentemente sincero di dire con poche parole, la verità che è in lui. Il Bianchi non si esibisce, non recita, ma porta al sole i suoi cavalli, i suoi galli, pagliacci, feste con fuochi artificiali, processioni, perché anche gli amici, ed i veri sensibili amatori dell’arte, li vedano e gli dicano una parola di simpatia e riconoscano in lui il vero Artista.
Spartaco Balestrieri (11-26 marzo 1962, Galleria ”la Gonzaghesca” Mantova)
Di Gianluigi Bianchi, pittore, ebbi la favorevole ventura di scoprirlo e presentare in una precedente personale milanese, già allora singolare e pensosa per certi omoni misteriosi a toni grigi, raffi nati, a fondi scuri, carichi di mistica filosofia fra Budda e una specie di spiritualità astrale. E con l’oriente debbo proprio ritenere ch’egli, ambrosiano puro, abbia una fatto personale se lo ritrovo ora con la sua favolosa pittura tutta sogni e racconti d’angeli e d’aerei innamorati, con galli piumati come comete, cavalli volanti e lune a tre quarti in campi di cielo e fondi tonali intensi. Gli omoni sono diventati davvero astrali immagini, la filosofia assimilata è diventata poesia anche nei dipinti degli scheletri, per nulla macabri come quelli di Ensor, miti anzi, anche se satirici, da poter tenere buona compagnia non soltanto ai Santi, ma anche a noi e farci soprattutto diventare migliori senza tetri mementi.
Da il “Corriere lombardo” di Milano del 20 marzo 1962…
Il misticismo arcaico dei quadri Di Gianluigi Bianchi meritano considerazione ed attenzione. Ritmo e simbolismo non fanno difetto al Bianchi con quelle sue figure “oblunghe” ed ieratiche” che si agitano fra conclavi di scheletroni, ma che pur, tuttavia, sono esenti dal gusto macabro di Ensor.
Guido Vigna. Post mortem. In ricordo di Gianluigi Bianchi (Corriere della Sera di Milano del marzo 1973)
Era buono, semplice, ingenuo. Sapeva essere capriccioso come un bimbo, severo come un asceta, sarcastico come un attore di cabaret. Non ha mai inseguito il successo, né mai coltivato i segni, eguali, di tanti artisti; neppure si abbandonava agli isterismi delle correnti. Forse dipingeva solo per se stesso, schivo del piacere degli onori, geloso della sua pittura, solitario nel suo vivere molto borghese, un po’ viziato da chi lo amava, certo e sicuramente incompreso da chi non sapeva andare oltre quel volto pacioso, pure illuminato da due occhi ironici.
Carimate (Como), Salone Civico del Torchio, Piazza Castello
28 Febbraio - 13 Marzo 2009
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