Solchi di Antico Mondo
Mostre, Firenze, 21 November 2009
C’è una sorta di intima trasparenza nella produzione recente di Chiara Silva, giovane artista italiana di vivace talento, che lascia leggere un dettato estetologico di portata eccezionale, un percorso di equilibrio dinamico del creato, un ritmo di pure e semplici analogie di macchie e colori, allineato a una spettacolare crescita interiore. La faccia di quest’arte ha una fisionomia generazionale emersa pennellata dopo pennellata, infinite pennellate, come infiniti sono questi paesaggi d’infinito deflagrati da sfrangiamenti di colore e una pluralità di superfici che si compongono in una immagine ricca di molte dimensioni, di visibili libertà dove tutto prende a palpitare, pulsare, oscillare. Paesaggi in cui lo spazio e il tempo sembrano condensarsi in una storia impercettibilmente stratificata attraverso ogni segno, ogni ruga. Il dato più vero di questa scelta estetologica, poetica, è che la giovane artista italiana si è riappropriata di un’arte carica di interiorità vera, lontana dalla concettualizzazione dell’arte, ponendosi fuori dalla distanza fra l’opera e chi guarda.
Oggi ci troviamo di fronte a opere essenziali e sintetiche, con movimenti relativamente risoluti e veloci, dove pensiero, forza interiore, intuizione e gesto diventano un tutt’uno. D’altronde questo tema d’infinito, questa grande cosmogonia altro non è che un amalgama del tutto, dove l’essenza delle cose è impercettibile al solo senso della vista. Sappiamo che nulla è permanente, tutto si modifica, evolve, cresce, si muove in un percorso infinito, in viaggio inteso come metafora della vita. Labirinto e infinito diventano tracce cariche e intense, dipinti come universi a sè, una parte del tutto. Nuvole, cieli, manifestazioni naturali, maree, vortici, esplosioni di materia, orizzonti, ecc. evidenziano tracce dinamiche, serrate, monocrome, colorate, dispensate da un centro propulsore.





La bellezza, oggi, di questa pittura di Chiara Silva è che ha finalmente raccolto ogni vibrazione dell’universo, perché ella ha cercato di rendere visibile l’architettura dell’universo, e racconta il viaggio verso le sorgenti dell’essere; è pertanto un “fatto” e non un “fattoide” come direbbe Gillo Dorfles, e come ha d’altronde anche il collega significato nel suo “Fatti e fattoidi”, in quanto il pensiero estetico è come tradotto in una coscienza del fenomeno, in una verità, nel bagliore di un linguaggio che mira a evidenziare le energie che regolano ogni forma di vita. La tensione più forte che si percepisce in questo nuovo capitolo pittorico di Chiara Silva è che, mentre molti artisti si sentono all’avanguardia sol perché irrigidiscono le loro posizioni cancellando ogni forma d’arte, ella si inclina verso una via mediana, la stessa che si fa portatrice di innovazione creativa, sulla scia di Tàpies, Fontana, Rothko. Gli spunti di ispirazione naturalistica vivono in un sistema di vasi comunicanti, e il colore stesso sotteso a un movimento infinito si fa palpitante cuore universale dentro il labirinto della vita. Il dialogo col naturale sfuma in questo territorio d’immensità, d’infinito, in questi ritmi delle macchie che sono come un elettrocardiogramma del respiro e del mondo che palpita. E sulla scorta di una sensibilità non comune e di una libertà non solo ideale, ma viva perché ancorata agli infiniti del mondo, Chiara Silva si è immessa in queste geografie di “solchi di antico mondo”, dove accanto al corpo della geografia e alla geografia del colore in queste infinite coordinate spaziali, fa ritrovare una poesia antica fatta di albe e scurissime notti.
Ma dentro l’universo che è il segno della sua ricerca, i lavori sono spirali di primavera, di corrispondenze, di rinascita, di durata e di eternità. E tra impasti, morsure, rilievi, esuberanze, aneliti e colori, tensioni e armonie, tutto sfuma in questo orizzonte che apre all’infinito. Un infinito che è porta del cielo

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