Quel che resta - Ignazio Fresu, ospite ad AAF Affordable Art Fair
Testi critici, Milano, 19 March 2015
Nella nostra memoria non ci sono mai opere complete, ma solo i frammenti dei ricordi di ciò che abbiamo visto e vissuto. Quello che si perde è soltanto qualcosa che non si vede più, come in un gomitolo in cui il filo di lana che si arrotola su se stesso e si aggiunge a quello preesistenete non sparisce, ma resta racchiuso sotto il nuovo filo, andando a formare il gomitolo stesso nella sua interezza.
Quel che resta è ciò che affiora, sono i frammenti di un'archeologia dell'Essere che ci parla di quello che siamo e siamo diventati e come tutto ciò che ci circonda e che viviamo appartiene ad un ciclo innarrestabile di trasformazione.
Ci sono libri aperti e libri chiusi, in cataste create seguendo un equilibrio precario e stabile al tempo stesso, libri che non si possono più leggere, dimenticati apparentemente nel continuo stratificarsi della memoria, ma che perseguono la loro immortalità attraverso un linguaggio non scritto, entrato a far parte di noi e del nostro essere. Sono libri coperti dalla polvere del tempo e del ricordo, che sono colti nel loro eterno usurarsi che non è un completo perdersi perché, come afferma Anassagora (concetto poi ripreso nel postulato di Lavoisier su cui si fonda la legge della conservazione della massa), nulla davvero finisce ma tutto cambia: “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”. E il concetto della trasformazione incessante delle cose che pervade anche l'io come unità in divenire, non permette che la memoria diventi ferita e realtà dolente, né che ci si abbandoni alla nostalgia di una bellezza ed una pienezza irrecuperabili.
In Quel che resta Ignazio Fresu propone invece un'estetica basata su una bellezza imperfetta e deteriorata, ma che proprio per queste sue caratteristiche è portatrice di significati più profondi e meditati.
Sembra quasi che la patina del tempo, caduta improvvisamente sugli oggetti scelti dall'artista, cristallizzi la realtà per consegnarla realmente al nostro sguardo, utilizzando anche la curiosità suscitata dalle composizioni in equilibrio instabile o dal contrasto fra realtà e apparenza esplicitato nella scelta dei materiali usati per “fingere” la materia.
Quello che rimane è dunque una riflessione sul tempo come medium decisivo per definire il nostro essere materiale ma anche il nostro essere interiore, è “la sostanza di cui sono fatto”, come diceva Jorge Luis Borges, è il vero paradigma della vita, che entra così a far parte dell'opera attraverso il congelarsi di un attimo che racchiude presente, passato e futuro e che dona eternità e poesia, facendoci riflettere su aspetti inesplorati della nostra interiorità.


Alessandra Frosini

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