In the Middle of Nowhere - Le Periferie Raccontate da Giacomo Montanaro
Mostre, Napoli, 18 May 2014
Si è inaugurata venerdì 16 maggio alle ore 19.00 presso lo Spazio Eventitre di Napoli la mostra personale di Giacomo Montanaro “In the Middle of Nowhere” a cura della Galleria Il ritrovo di Rob Shazar , la mostra si potrà visitare fino al 27 giugno. Il nuovo progetto dell’artista torrese, a quasi sei anni dal precedente Parete Lavica, si presenta con una novità sorprendente: l’assenza di ogni traccia di figura umana. Essa viene presunta ed evocata nelle 50 opere in mostra: edifici industriali abbandonati, relitti sociali, scorie economiche, persi in un deserto bianco e solitario. Nello scritto critico di Gloria Gradassi ella ci dice : “Il percorso artistico di Giacomo Montanaro si evolve con una coerenza leggibile dentro tutto il suo lavoro. Un filo unico lega le svolte, gli anni, le dinamiche nuove che si alimentano di precedenti sviluppi e intuizioni. E’ cosa rara trovare questa coerenza oggi dentro il lavoro artistico, poichè la spettacolarizzazione del fare arte, le grandi mostre, gli internazionalismi e l’eccesso di comunicazione riempiono un palcoscenico molto spesso vuoto e fatto solo per il consumo. L’artista si proietta in questo mondo caotico capace di stordire e annullare personalità creative potenziali. Se oggi dovessi dare un consiglio ad un artista gli direi di guardare, conoscere tutto molto velocemente per poi scappare e rifugiarsi dentro se stesso, cercando di dimenticare e cercare di esprime la sua forza creativa. Gli direi anche di non inseguire il successo internazionale seguendo le orme di altri, perché l’arte non è proporzianale al suo riconoscimento, e che l’aspirazione di un artista non dovrebbe essere quella di avere il successo di una pop-star. Non credo che continueranno a riaffermarsi i modelli del recentissimo passato, e che al prevalere di linguaggi e processi condivisi si sostituirà il bisogno di un’autenticità ormai preziosa, alla quale guarderanno fruitori e creatori d’arte. Giacomo Montanaro ha una sua essenza, che mescola l’immagine mentale come sintesi del visibile alla pittura intesa come operazione gestuale.

Si tratta di una pittura molto veloce e liquida, eppure calibrata, che sfrutta la luce quale elemento che definisce contorni e forme di un’immagine sintetica. Il suo fare è virtuosistico, irripetibile, e coinvolge in cortocircuito corpo e mente che divengono una fotocamera virtuale che cattura la luce per proiettarla su una superficie sensibile. Ma se la fotocamera usata in senso classico ferma un’immagine sospendendola entro una cornice, Montanaro della luce non ci mostra solo la potenza scultorea ma anche le vibrazioni che accendono le immagini di inquieti dinamismi. Le forme sono elettriche, e la ripetizione di alcuni soggetti introduce anche la dimensione tempo e quella velocità, di memoria futurista, che fa trascorrere dinanzi a noi le forme, non più esauribili al primo sguardo. Il visibile è filtrato, come decantato in un’apparizione luminosa, eloquente ed essenziale. I rimandi storici di straordinario spessore sono molteplici dentro questo lavoro, dalla scansione mentale del visibile fatta da Cézanne, ai dinamismi inquieti del Futurismo, fino ai profetici ambienti spaziali di Fontana, il dripping di Pollock, la cronofotografia e molto ancora, ma senza dubbio in nessuna di queste colossali matrici si esaurisce lo sfaccettato ed originale lavoro di Montanaro. Ma proprio a proposito di paternità artistiche, mi sembra significativo un elemento biografico che evidenzia la coerenza dentro all’evoluzione. All’Accademia di Belle Arti di Napoli Montanaro è stato allievo di Augusto Perez, un notevole scultore che sapeva imprimere dinamismo e vitalità alle superfici, specialmente nei bozzetti, manipolando la materia con studiata consapevolezza. Tutte queste attitudini, che certo derivano ad ogni artista per buona parte da una dote innata, certamente appartengono anche alla sensibilità di Montanaro che le ha sapute trasferire dall’ambito di una scultura intesa in senso tradizionale, ad una pittura estremamente personale e contemporanea, fatta con acidi su carta fotografica. Il saper far vibrare la materia è divenuto atto mentale perché è nel pensiero del reale, che riscrive il visibile in un codice, che nasce la pittura di Montanaro. Tecnicamente usare un acido su carta fotografica significa impressionare in modo irreversibile il supporto. E’ necessaria notevole consapevolezza e un grande controllo. Montanaro lavora molto velocemente ma senza affidare l’esecuzione al caso. E’ concentrato, tutto il corpo è teso e innervato da un impulso che, dal momento in cui scatta l’azione guida i movimenti in un’impressionante sequenza di gesti che sembrano quasi un combattimento di arti marziali. Corpo e mente sono indistinti, lo sguardo è tutto dentro il processo, e le forme emergono improvvise dinanzi agli occhi di chi guarda, come in una creazione alchemica. Si prova una certa tensione assistendo ad una performance di Montanaro, simile a quella di una nascita.


All’inizio il supporto è come una lavagna nera stesa a terra, l’artista comincia a girarci attorno in una camminata rituale, nella quale sembra che studi lo spazio, i movimenti, mentre si carica di tensione per dare il giusto slancio alle sue “pennellate”. Qualche anno fa, sotto il cielo immenso di Matera, assistendo ad una sua azione mi è sembrato di vedere un uomo primitivo incidere sulla pietra il segno della sua presenza e della sua speranza. La gestualità è spettacolare, velocissima, quasi tutto fosse già scritto, solo da scoprire. Nella grande sintesi Montanaro cerca l’essenza delle cose, l’eliminazione del superfluo, per giungere ad un segno calibrato e molto comunicativo. Poli opposti si toccano e si fondono nelle sue opere, da un lato il segno che scolpisce, incide, scartando con lucidità l’eccesso, dall’altro lo slancio dell’azione e le vibrazioni dinamiche che amplificano le forme. Tutto mescolato in un equilibrio che si cristallizza sotto i nostri occhi mettendo in evidenza alcuni elementi fondanti della creazione. Diceva Goethe, “ Gli abissi del presentimento, una sicura visione del presente, la profondità matematica, l’altezza della ragione, la precisione fisica, l’acume dell’intelligenza, una nobile e immaginosa fantasia, il gusto amoroso del sensibile, nulla di tutto questo deve mancare per quella viva e feconda conquista dell’animo, dalla quale soltanto può nascere un’opera d’arte, qualunque sia il suo contenuto”. L’artista dunque non crea seguendo l’impeto disordinato dei suoi sentimenti, o dando spazio ad una casualità automatica tanto per liberare energie compresse, segue un’intuizione lucida che fonde le leggi della natura, la conoscenza, con la fantasia e l’immaginazione. Sta tutto qui, in questa inarrivabile saggezza il segreto dei grandi artisti. L’intuizione è quell’idea perfetta che, indipendentemente dai contenuti, trova un equilibrio magico tra pulsione e linguaggio. Montanaro possiede la saggezza dei disegnatori, la conoscenza di quelli che sanno che l’idea ha i suoi punti focali, che non si deve sovraccaricarla per non affogarla in un fare scomposto. Il suo progetto artistico è quello di affinare sempre più ogni suo gesto, di annullare le parafrasi descrittive e mettere insieme pochi segni che rendano visibile la sua intuizione. Uno dei lavori più rappresentativi degli anni 2007/2008 è Parete Lavica, un grande dipinto in cui i rossi e i gialli su fondo nero evocano un’eruzione vulcanica che si abbatte su corpi in fuga, scomposti dall’evento estremo. I lapilli scivolano dall’alto, come una pioggia di fuoco inesorabile, le figure sono scarnificate, ridotte a semplici manichini, eppure capaci di comunicare un sentimento tragico. Tutto è in movimento, l’uomo e la natura una cosa sola, nel tempo. Parete Lavica è anche il titolo di una mostra del 2013 al MAV di Ercolano nella quale il grande dipinto del 2008 è divenuto parte di un’istallazione e ha dato vita ad una serie di lavori, molto eleganti, in cui l’artista è intervenuto su alcuni scatti fotografici che rappresentano i calchi delle persone morte nell’eruzione vesuviana del 79 d.C..

Le espressioni delle vittime sono toccanti, sembrano uomini ancora vivi che tentano di sfuggire alla lava rossa che li insegue. Montanaro ha dato corpo ad un’emozione sospesa tra il tempo eterno di questi uomini, che con pietà ancora oggi ci troviamo ad osservare, e la potenza della natura, che inarrestabile travolge la vita. Lo scatto fotografico e l’intervento pittorico dell’acido, nel confronto si vivificano, mentre passato e presente si incontrano in un bilanciamento di colore e bianco e nero vibrante. Oltre questo passaggio, c’è un momento di sospensione nel lavoro di Montanaro in cui, la pennellata acida, resa assoluta e virata in opere dai colori differenti, diviene protagonista unica escludendo ogni riferimento figurativo. Sono le opere del 2009/2010, in cui gesto e luce s’intrecciano in armonie cromatiche astratte, quasi improvvisazioni musicali. Gesti dinamici campeggiano sui fondi scuri, esaltano la luce e si presentano come segni di un alfabeto iconico molteplice. Lo spazio è percepibile come campo nel quale scosse elettriche si condensano in lampi di colore. Se l’indagine del corpo umano con i suoi dinamismi e i rapporti tra le figure, hanno costituito l’oggetto dell’indagine di Montanaro nei primi anni di “pittura acida”, oggi l’attenzione dell’artista si è spostata sull’ambiente urbano e la costruzione architettonica intesa come aggregato volumetrico. Questo spostamento ha avuto un suo doppio nell’evoluzione cromatica, che ha ora tutto un altro baricentro: il nuovo bianco del supporto si è sostituito al nero dei fondi e la pittura si è come invertita, dal negativo al positivo, il tocco non è più un graffito ma una velatura chiaroscurata, i colori, più contenuti danno corpo a volumi armonici, il dinamismo infine, non è nella ripetizione ma dentro la forma e nella pennellata. La gestualità, placata nelle nuove strutture, alimenta una composizione meno nervosa, come se l’urgenza espressiva, e quel senso epico che accompagnava la figura umana semplificata, si fosse tramutato in qualcosa di molto più contenuto e denso. Una svolta avviata già da un’opera come Periferia (2012), un’installazione in cui la figura umana è espulsa dalla cornice del dipinto che, centrato invece su un paesaggio industriale, diviene la quinta scenografica alla quale la figura si lega per essere anonima come il paesaggio e fatta della stessa materia cromatica, acida e molto accesa. Da qui in avanti le periferie divengono il soggetto principale di una pittura molto leggera e liquida. Montanaro in questi lavori recenti usa l’acido a volte con la delicatezza di un acquarello, discostandosi dai gesti elettrici dei suoi precedenti lavori. Gli edifici industriali sono sagome geometriche attraverso le quali l’artista sonda tutte le sfumature cromatiche e le diverse profondità della sua pennellata. Messe a confronto con la descrittività analitica di un genere che ha dato molto nella fotografia, queste periferie appaiono come fantasmi inconsci, pure visioni pittoriche nelle quali la realtà è completamente trasfigurata e riletta secondo un codice capace di reinventarla e di creare un intrigo

visivo che ha il sapore del nuovo e soprattutto che porta indelebile il segno di Giacomo Montanaro. Una svolta leggibile nel segno della continuità, e che ci suggerisce anche come il soggetto sia per l’artista non più di un elemento evocativo intorno al quale si aggrega la sua spinta a fare pittura, che resta sempre l’elemento centrale di tutta la sua ricerca. La pittura, che si mostra oggi ancora come genere inesauribile, capace di rigenerarsi e creare universi paralleli, ha in sé un deposito di stratificazioni linguistiche che nella loro infinita varietà e ricchezza, rappresentano come dei codici genetici sottoposti a continue variazioni. Ogni artista ha il suo dna, quel segno che ci consente di raffrontare opere realizzate in epoche differenti trovando, pur nella discontinuità, l’elemento comune. Nella recentissima serie delle periferie qui presentate, alla quale appartiene il ciclo “In the middle of Nowhere”, si può infatti leggere la stessa gestualità delle prime opere di Giacomo Montanaro mista ad una scansione mentale che filtra il visibile in volumi aggregati. La cifra dell’artista si mostra nuovamente in una pittura che fondata su canoni ben individuati si addentra però in nuove suggestioni. Le periferie non sono descritte analiticamente, sono luoghi indefiniti, ma non i nonluoghi del dilagato globalismo; e il nulla in cui sono perse appare in realtà non tanto il confine del mondo quanto quello dell’anima: un bianco assoluto nel quale le forme possono apparire o scomparire, a seconda di come noi le guardiamo. Dare una forma al nulla è il tentativo ulteriore di una pittura che entra ora in una fase più intima e poetica, una forma di resistenza alla tentazione di far svanire ogni segno. In alcuni lavori in bianco e nero, l’essenzialità cromatica si presenta come un ultimo baluardo che rende più assoluto il gesto pittorico elaborando la sintesi di un percorso decennale; in ogni singola pennellata c’è tutto il senso di una pittura quasi scultorea, una pittura che quando si staglia sui fondi bianchi costruisce, trova un senso, seppur minimo nella vastità dell’indefinito. La pennellata di Montanaro è come un cuore che pulsa nell’inconoscibilità dell’essere, un respiro, a volte convulso, altre volte disteso, contenuto o appariscente, un modo forse di dire che l’arte non perde mai il suo potere d’incantamento”.
NOTIZIE UTILI -Info: Eventitre – via T.G. Blanch, 23 80143 Napoli - tel +39 0810484111 – infoe23@gmail.com Galleria Il ritrovo di Rob Shazar, Via Diaz, 26 – Sant’Agata De’ Goti (BN) tel. +39 0824 832837 mob. +39 339 1532484 shazar@virgilio.it www.galleriashazar.com- ORARIO VISITE: Lunedì – venerdì 16,30/19,00 – altri giorni a richiesta su appuntamento

Giovanni Cardone







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