di Giuliana Silvestrini
La mostra personale di Giuliana Silvestrini si articola come progetto site-specific nello spazio espositivo la Scala D’Oro, dove le opere sono disposte lungo la scala a dialogo in senso fisico e visivo con il fruitore, per mostrarsi come all’interno di un’ipotetica abitazione.
All’ingresso dello spazio espositivo un’antica e pesante cornice racchiude un gruppo di famiglia, fuso in un solo organismo di gomma lacca che trattiene e custodisce l’energia solida, quasi materica, gabbia dorata dei legami familiari.
Le pareti della scala, che portano a un invisibile piano superiore, presentano i Ri-tratti di famiglia racchiusi in cornici dorate. I “Ri-tratti” sono di legno trattato con gomma lacca che conferisce un effetto di luce, il colore è dato da mordenti con colorazioni che vanno dai rossi del mogano e del palissandro, al bruno del noce, ai neri caldi e profondi dell’ebano.
Osservare un volto e meditare su di esso con la pittura come filtro è attraversarlo, seguire l'onda emozionale che ci rimanda, entrare nell'altro.
I Ri-tratti di Giuliana Silvestrini raccontano di un processo, attingendo dalle profondità della memoria che libera con immediatezza i gesti reiterati, rappresentato da molteplici e fluide colature, da velature di gomma lacca, stratificazioni di cera solida e rimozioni a coltello. Una continua ricerca dell'equilibrio compositivo sempre teso al rappresentare l’immagine sedimentata.
I soggetti si disperdono in un groviglio di segni, la figura si dissolve in un insieme informe. Lo sguardo ruota seguendo la circolarità dei formati. Il cerchio, figura geometrica dove il principio e la fine coincidono, simbolo del ciclo continuo della vita, del tempo, del cambiamento e dell’inaspettato ritrovamento. Pitture monocrome ai mordenti che presentano un legame con la tradizione del ritratto classico dipinto in tondo e la declinazione più “moderna” del ritratto inteso come materia-colore, segno e sintesi, puro e concreto linguaggio.
L’installazione, in coabitazione con i dipinti, un fotomontaggio dedicato al tempo, celebra per continuità l’antica pratica introspettiva dell’autoritratto dell’artista che ricerca la propria identità attraverso l’incontro, quasi una fusione, con la madre generatrice. Al contempo, mostra una riflessione critica sui condizionamenti delle relazioni familiari e sulle conseguenze relative allo sviluppo della propria identità. Chi sono io? Qual è la mia propria essenza?
Su un ripiano due mattoni affiancati mostrano sulla superficie di cemento e sabbia tracce, impronte di abiti in disuso intrisi di bitume. Un recuperare la presenza smarrita, attraverso abiti dismessi, una dichiarata impossibilità ad accettare la separazione. Le tracce lasciate dagli abiti, intesi come pelle, rappresentano le micro narrazioni silenti delle diverse identità; motivo già affrontato nell’opera, ”non posso farne a meno” del 2015 presso le Scuderie Aldobrandini di Frascati (RM).
In cima al percorso, che sembra voler condurre il visitatore verso uno svelamento di una matrice identitaria ed esistenziale, meritato premio di ogni personale ricerca spirituale, troviamo invece la visione sfocata e ossessiva di un’infanzia lontana e condivisa. Una serie di figure, che come una vecchia pellicola che salta per difetto, riproduce su uno schermo ingiallito la folla dei ricordi. Ulteriore affermazione di un immutabile procedere circolare.
Guido D’Angelo
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