Nel corso della storia dell’arte, la testa ha accentrato pensieri e attenzioni di maniacali ed esperti ritrattisti, per lo più in cerca di una fedele somiglianza al vero. Infatti, nel tentativo o nella tentazione di ergersi a nuovi creatori della “real persona”, molti speravano e alcuni riuscivano, di suscitarne una ancor più vera, ispezionando l’anima del soggetto, fino a legarla indissolubilmente alla sua effige. Sventurato fu Dorian Gray.
Altrettanto numerose sono le testimonianze pittoriche di teste che non necessariamente ambivano a essere carta d’identità di un soggetto, ma che primariamente fungevano da studi per composizioni più complesse oppure esercitazioni fini a se stesse, utili ad affinare la mano nella messa a punto di uno sguardo, dei capelli, di un orecchio. Teste che partorirono numerose altre identità, reali o fittizie.
Rubens, tra i tanti, era solito eseguirne innumerevoli esemplari: teste di fronte, di profilo, singole o a coppie, come sperimentazioni in funzione dei suoi quadri o come guida per tutta la bottega. Molte sono le teste di vecchio dipinte dal Tiepolo, pensanti e meditative, quasi a suggerire l’eterna magnificenza dei grandi pensatori della storia. Mistero e grazia sono celebrati nelle teste di donne e di fanciulle, da Leonardo Da Vinci a Renoir. Di morte e crudeltà sono monito quelle di Géricault. Malinconiche e innumerevoli, quelle di Van Gogh, che sembra incontrarle tutte alla fine del giorno, di ritorno dai campi, illuminate dalla luce calda di una candela accesa, ultimo ristoro dopo le fatiche di un’intera giornata. E ancora: teste per mano di Paolo Uccello, di Dürer, di Rembrandt, di Modigliani, di Malevič, di Dalì, di Picasso...
Teste “vere” eppur ignote. Introspezioni psicologiche, non si sa bene di chi: di qualcuno, di uno, di nessuno… Certo dell’uomo, dell’Homo Sapiens.
Mai come nella specie umana, la testa rappresenta il bene più prezioso, custode del pensiero, cammeo dell’intera persona, vanto della propria personalità, specchio o, meglio, superficie di una vita profonda come un pozzo, i cui riverberi affiorano in alto, tra le increspature, la pienezza e gli spigoli.
Il volto, incorniciato nel capo, diventa allora meridiana di un tempo che è giudice e tiranno per tutti, promemoria di una vita splendida e mortale. Speranze affiorano luminose sugli incarnati e fantasmi si annidano nei solchi scavati dai giorni e dalle emozioni.
In questa prospettiva, secondo queste e altre aspirazioni, si collocano le teste dipinte da sedici pittori contemporanei, invitati a confrontarsi sul tema. Alla ricerca di se stessi, di un’infanzia creativa mai perduta, del mistero di uno sguardo adorno di tradizioni e mitologie, di tracce e rimasugli di quello che poteva essere e non è più, essi mandano in scena storie, citazioni, evocazioni, memoriali e oblio. Scandagliando una condizione umana, tutti abbandonano l’esercizio, andando in cerca, piuttosto, già di un tutto che si dischiuda lì, in una composizione apparentemente piccola, fatta di lineamenti, segni, tratti somatici distintivi oppure vaghi, identità rivelate o nascoste. Esistenze o, molto più semplicemente, teste.
Vera Portatadino
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