La mostra « NIENTE è come vedi » è figlia legittima del progetto Skin ideato da Colli: una serie di opere pittoriche su carta dove, ambiquo e risoluto, l'autore crea degli strappi corposi: qui la ricerca e la logica della forma viene meno, anzi arriva ad una dimensione catartica.
Come suggerisce il nome «pelle», questa ricerca tende a ridefinire e a interrogarsi su cosa può essere oggi la pittura e il ruolo che essa può occupare in una società senza più confini, dove gli strumenti informatici che consentono di replicare la realtà e filtrare emotivamente l'esperienza di vita sono ormai diventati un'estensione del nostro corpo e delle nostre abitudini: la pittura ci veste e ci investe. L'atto canonico del dipingere, in questo contesto, non può altro che essere un atto vintage, celebrativo e autoreferenziale delle proprie abilità tecniche.
E' in quest'ottica di riflessione che nasce lo sviluppo della serie Skin, una piacevole provocazione per rimettere in discussione le certezze del nostro tempo. Le chiavi di lettura sono molteplici, sia verso le modalità di utilizzo del linguaggio pittorico come strumento di ricerca, sia, semplicemente, come personale punto di vista dell'autore sul concetto di pittura oggi. Un concetto pittorico che verte non più sui limiti, sulla capacità, sull'abilità tecnica nella riproduzione cartesiana dello spazio o sulle possibili sfumature emotive filtrate, ma sull'oggettività della pittura stessa.
Se ci si pensa bene «niente è come vedi». Tutto è ricoperto da uno strato di qualcosa, come una pelle, che, naturale o artificiale che sia, vernice, trattamento, finitura, pittura, ossidazione, muffa, riveste ciò che vediamo. In quest'ottica il segno pittorico, la pittura nell'opera non può solo rappresentare la realtà perché oggettivamente essa stessa è la realtà, e basta solo uno strappo per esprimerla e conclamarla nel suo essere.
Il ruolo marginale della pittura bianca/nera nella sua estrema sintesi cromatica, ricopre e avvolge la natura del supporto (carta) proteggendola dalle ossidazioni del tempo. L'azione estrema e priva di controllo dello strappo nella sua risultante espressiva mette a nudo e svela la sostanza vitale di ciò che vediamo, aprendo la dimensione ad una «Pittura che fa del difetto virtù».
Due soli i colori, anzi, i non-colori utilizzati, il bianco e il nero, ma bastanti a creare paradossi concreti e giochi di luce degni di uno scultore. Perché proprio nelle sfaccettature sta l'arte di Colli, nel proporre un'attenzione ai particolari ed un'esaltazione del gesto pittorico, inteso non come virtuosismo, ma come ricerca formale, non così lontana da un Piero Cattaneo o Arnaldo Pomodoro (non a caso due scultori). Difatti l'intenzione plastica, già evidente nel progetto Post di Colli, porta a creare con la luce e le ombre (per quanto in questa mostra siano in secondo piano) un effetto moirè che illude alla tridimensionalità.
Gli stessi effetti visti in Frank Stella, il padre della minimal art, cui Colli non ha mai negato d'ispirarsi. Ma se nell'americano non mancavano ricerche cromatiche, nel pittore siciliano lo spettro dei colori è intrinseco nella sintesi del bianco e nero (rispettivamente la summa dei colori e la loro assenza), offrendo allo spettatore un gioco evocativo che ben si sposa con l'inganno offerto agli occhi dai suoi strappi surreali. Un trompe-l'oeil formidabile, che si unisce ai numerosi esempi della tradizione pittorica e che, per antonomasia, è la Pittura stessa. Ecco perché preferisco definire Carlo Colli «pittore» piuttosto che «artista», perché è un autore maiuscolo che non stona affatto nel confronto con il passato, sia remoto che recente, della storia artistica italiana, piccola o grande che sia, anzi mantenendo vivo e coerente l'aspetto della ricerca e della tecnica, come traspare sempre nelle sue opere e, non da meno, in quest'ultima mostra, la nuova pelle indossata da Carlo Colli.
Luca Sposato
Die Mauer arte contemporanea - www.diemauer.it
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Lino
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