ABITARE - l'abito fa il monaco: rassegna di arti visive
Mostre, Firenze, 23 April 2011
Presso Merlino Bottega d'Arte, via delle Vecchie Carceri, Le Murate - Firenze.

Inaugurazione sabato 23 aprile ore 17,30.

Opere di:
S. Biliotti, A. Bongini, D. Caciagli, G. Castelli, R. Corsi, M. de Fazio,
F. Giorgi, G. Marino, F. Mattolini, R. Ruberti, R. Serenari.

Se scegliere un abito da indossare è un po’ come scegliere lo spazio intimo in cui vivere, un modo di esserci e di raccontare la propria storia, crearlo dal niente presuppone in qualche modo il desiderio di rappresentare un piccolo mondo fatto di forme e di particolari tangibili che appartiene ad un universo più vasto e solo parzialmente esplorabile dall’essere umano che continua comunque a guardare e a mostrarsi nella maniera che più gli è congeniale. C’è chi sostiene che indossare qualcosa che copre nascondendo il corpo servirebbe in realtà per smascherarsi, per rivelarsi all’altro: l’abito fa il monaco, dunque.
L’uomo e la donna nascono naturalmente nudi, ma tutti i neonati vengono vestiti un attimo dopo aver visto la luce e sono i genitori che scelgono quel che indosseranno, a seconda del sesso e forse anche di ciò che desiderano per loro; poi i figli crescono, eppure continuano a farsi comprare dalla mamma i calzini e le mutande fino alla conquista della maturità e della libertà di vestirsi “da soli”. Gli adolescenti, un po’come i militari e da qualche tempo i politici, optano quasi sempre per la divisa che, pur mettendo fuori gioco qualsiasi tipo di originalità, garantisce una buona dose di quella sicurezza (immaginaria, ovviamente) che nasce dal sentirsi appartenere ad un gruppo o ad un’ideologia con-divisa. Passata la fase critica, in genere ognuno comincia a scegliere i propri abiti seguendo necessità e criteri diversi; tutto dipende allora dal gusto personale, dal tipo di lavoro svolto, dall’impressione che si vuol dar di sé agli altri, magari anche dal luogo in cui si vive. Infine, poiché neppure la morte ci vuol trovare nudi, siamo chiamati ad esibire “l’abito giusto” anche nel momento del congedo finale. Di fatto, l’abito è l’unica cosa terrena che ci portiamo sempre dietro, dal giorno in cui veniamo al mondo a quello in cui lo lasceremo per andare altrove; l’uso comune e il decoro stabiliscono che non se ne possa fare a meno neanche allora, per quanto nessuno sappia con precisione se e a che cosa ci servirà (anche in caso di reincarnazione, infatti, rinasceremo comunque nudi).
Rappresentare gli abiti potrebbe coincidere, quindi, con il tentativo di dar voce a quella forma, più o meno preziosa, che accoglie l’ancor più prezioso corpo umano, ed anche alla non-forma, ossia all’anima che sceglierà d’indossare proprio quell’abito (quello e non un altro) per parlare di sé e del proprio rapporto con il tempo, con lo spazio, con la vita e con la morte.
Gli undici artisti presenti con le loro opere in questa mostra utilizzano il tema dell’abito per parlare di bellezza e di seduzione, ma anche come pretesto per affrontare in maniera coraggiosa ed irriverente temi difficili e incresciosi come quello della guerra, della violenza e della morte, che riguardano tutti noi, da vicino o da lontano, e che sono lì per ricordarci che non è il denaro, né il potere a rendere l’uomo immortale: solo l’arte, che è eterna, può farlo. Lo conferma l’abito bianco di Alfredo Capitanini, indelebile nel ricordo di chi, come me, ha avuto la fortuna di essere vestita da lui nel giorno della festa in maschera più amata dalle donne di tutti i tempi.

Giovanna Cardini


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