LA FATICA DELLA LUCE
Mostra d’arte contemporanea
a cura di Elio Carmi ed Elisabetta Rota
Dal 18 dicembre 2011 al al 14 gennaio 2012
Inaugurazione domenica 18 dicembre ore 16.00
Museo Ebraico di Casale Monferrato
Vicolo Salomone Olper 44
Orario feriale: 08.30 - 12.00 (su prenotazione)
Apertura straordinaria dal 20 al 23 dicembre dalle 17.30 alle 19.00
Per info: Casalebraica tel 014271807 – 333 3472001 Catalogo in mostra – Link: www.casalebraica.org www.levorosenberg.com
Rovistando in una soffitta ho trovato un documento con alcuni versi anonimi in endecasillabi e una miriade di versi della Divina Commedia, barbaramente sparpagliati.
Ho deciso di trasformare il ritrovamento in un’installazione d’arte contemporanea alla quale ho dato il titolo “Se Dante e il vento ed io” – mi piace giocare soprattutto sull’ambiguità di quell’”ed io” che, con un piccolo spostamento di spazio potrebbe diventare “e dio”, ovvero il riferimento ad una forza imponderabile…. – e di condividere con il Museo Ebraico di Casale Monferrato questa scoperta.
Ne è scaturita una mostra – LA FATICA DELLA LUCE - titolo mutuato dall’omonimo candelabro di Chanukkàh, creato per il museo, e che sintetizza sia il sentimento dominante che mi ispira la festa di Chanukkàh - che nella tradizione ebraica rievoca il miracolo della tenuta della luce dopo la minaccia della distruzione del tempio - sia il sentimento ispirato dalla scoperta del terribile scompiglio subito da un’antica e incredibile opera letteraria, talmente rigorosa nei contenuti e nella forma da essere diventata tradizionalmente un paradigma insuperato di struttura letteraria e compendio etico.
Per conferire un nuovo “ordine” allo scompiglio dell’opera dantesca ho trascritto i versi su sottili strisce di pellicole radiografiche trasparenti di colore azzurro grigiastro e li ho raccolti in trentatré fasci che ho progettato in un’installazione secondo la struttura di tre nuove costellazioni, non ancora scoperte al tempo di Dante; Orue, Lodràlo e Gràvia
Fa parte della mostra anche un’opera dal titolo “La selva oscura”, una sorta di cespuglio di pellicole radiografiche blu notte, impressionate di corpi umani,installata all’ingresso, sui due lati della porta, che costringe i visitatori a sfiorarla passandovi nel mezzo.
Penso che questo nostro tempo, minacciato dalla paura e dai suoi fantasmi, abbia bisogno di una riflessione su quanto possa essere facile, nelle difficoltà, perdersi nella “selva oscura”; “perdere il lume” della ragione.
.
Un video evoca l’evento raccontato nella poesia di questa donna sconosciuta che mi ha fatto dono di questi reperti e di questa storia.
Già era notte fonda quando Dante,
temendo quello vento forte scuro,
raggiunse me nel sogno qual viandante
pregandomi dell’ovra por sicuro.
Periglia l’arginar, ch’è sua tragedia,
e l’ordine trovar già fu sì duro,
che regge lo sonar di sua Commedia,
naufraga ‘n mare immenso d’i volgari,
tra tomi titolati contra tedia,
ove piccioli stan per grandi mali.
e l’omo per confuso più non vede
che nove Muse fann’i commensali,
e tutto que’ che legge eguali crede,
tanto li strali fondan dentro ‘l core
che l’omini d’uom cacciator son prede.
Ed io che son del sonno nel torpore
scatto come chi prende gran paura,
vedendo ‘l volto suo di gran dolore,
corro dove si giace in l’erba scura
ma ‘l vento mi precede con talento
tosto perch’io veda esta sciagura.
Ahi quanto dur’è dir dolor ch’i’ sento,
che tutto ‘ntorno vo’ cogliendo versi
e qua e là correndo serbar tento
ma pioggia bagna già tutti dispersi
che son perduti omai di lor sequenza
sperando che non sien per parte persi.
Accorta di servarne la semenza
n’accolgo tanti fasci presto, presto,
pur l’occhio non ne trovi conseguenza.
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
Il tempo contingente del “libro”Elio Carmi
All'inizio dei tempi, Dio vuol discorrere con Adamo. Quando il primo uomo cerca di parlare, il suono che esce dalla sua bocca è un'invocazione: "El”, che in ebraico significa "Dio". La Bibbia, per la verità, non lo racconta, eppure dev'esser andata proprio in questo modo, perché "alla ragione pare assurdo e orrifico che qualcosa sia stato nominato dall'uomo prima di Dio".
Così, nel De vulgari eloquentia, Dante mette in scena il dialogo primordiale che ha dato origine al linguaggio. Con un misto d'invenzione e puntiglio filosofico, il poeta immagina una voce che rompe il silenzio ancora intatto della creazione. La sillaba "El" imprime il sigillo dell'ebraico sulla bocca di Adamo, cosicché Dante può concludere:
"Ebraico fu dunque quell'idea che formarono le labbra del primo parlante".
E’ noto che Dante tornò, nel XXVI canto del Paradiso, su questa sua teoria e ne diede un'altra versione: non più "El" sarebbe stata la prima parola di Adamo, ma una sibillina "I". Il significato dell'enigmatica lettera rimane oscuro, e non vi è prova che anche in questo caso il poeta avesse in mente un sintagma ebraico. Una cosa comunque è certa, e cioè che il rapporto di Dante con la lingua ebraica e il giudaismo è tema che ha inquietato generazioni di filologi.
Il breve brano sopra riportato è di Giulio Busi, straordinario commentatore del mondo ebraico e docente universitario stimato e apprezzato da molti.
C’è un altro testo che ritengo interessante mettere in relazione al lavoro di Margherita Levo Rosenberg. Si tratta di un verso che tutti ricordano e spesso pronunciano senza però conoscere alcuno dei molti tentativi d’interpretazione.
PAPE SATAN, PAPE SATAN ALEPPE
Le interpretazioni date finora al noto verso dantesco non possono soddisfare alcuno, perché nessuna è la vera. Chi dubitò che non avesse senso di sorta ammise implicitamente che l’Alighieri avesse potuto volere, in alcuna circostanza della sua vita, non esprimere niente. I più convennero che la lingua ivi adoperata fosse la cosidetta lingua sacra, l'ebraica; ma non avvalorarono la sana ipotesi con una interpretazione accettata dal comun consenso dei dotti. Ora, che sia ebraica la lingua ivi adoperata, e quale ne debba essere l’interpretazione, credo aver buono argomento per dimostrarlo. Chi entri nel sovrano tempio della cristianità, il San Pietro di Roma, che rappresenta in terra la soglia del Paradiso, sia egli credente o no, si vede accolto da queste profetiche e insieme minacciose parole, scritte ad enormi caratteri sulla circonferenza basilare interna della cupola:
PORTAE INFERI NON PRAEVALEBUNT ADVERSUS EAM.
Sono prese ad imprestito dal Vangelo di Matteo (capo XVI, V. 18): sono la promessa di Cristo, l'anima della indefettibilità della Chiesa. Ora domando io: alla soglia dell'Inferno, e sulla enfiata labbia di Plutone, che è spinto a fare maggiore sfoggio del suo potere dalla presenza del cristiano che s'avanzava, Dante, quali altre parole , se non il rovescio di quelle, avrebbe potuto mettere il poeta, per essere interprete vero e fedele della situazione creatasi nella sua mente? E per vero
Pape Satan, pape Satan aleppe sono, parola per parola, le ebraiche:
Bab e-sciatan, Bab e-sciatan alep; porta Inferi, Porta Inferi praevaluitla porta dell'Inferno, la porta dell'Inferno prevalse.
Pape è la voce caldaica Bab (R35;בבR36; ) cioè porta
Satan è la voce ebraica Sciatan ( R35;שטןR36; ) cioè diavolo.
Aleppe è la voce ebraica Aleb ( R35;ץלבR36; ) cioè prevalere, opprimere.
E-sciatan è il genitivo costrutto della voce ebraica Sciatan, e significa del diavolo.
Lo scrisse il 26 Novembre del 1888, Ernesto Manara sul periodico bimestrale diretto da Giosuè Carducci: Il Propugnatore.
Dante e l’ebraismo sono connessi; molti hanno cercato tra le parole, le interpretazioni, le traduzioni, le commistioni possibili di trovarne una via.
Lo fece anche il rabbino Flaminio Servi, casalese d’adozione, ma nato a Pitigliano nel 1841. Fu anche stimato direttore del ‘Vessillo Israelitico’, il giornale dell’ebraismo italiano, stampato in Casale in via Cavour, che per i curiosi è archiviato e disponibile alla biblioteca civica Giovanni Canna, per eventuali studi e ricerche. Il Servi scrisse anche un libretto dal titolo “Dante e gli Ebrei” e riporto qui un commento del professor Vincenzo Moretti.
La conclusione è che “Dante amava gli Ebrei, né di odiarli aveva ragione alcuna”. Una teoria che appoggiava anche la visione politica di un’epoca in cui gli ebrei cominciavano a far parte della classe dirigente italiana e si sentivano pervasi da autentico amore per una patria che sentivano finalmente propria. Per Flaminio Servi, Dante, libero pensatore (ostile al papato), che colloca in Paradiso anche figure vissute prima di Cristo, “è un patriota e diventa simbolo dell’Italia aperta alle religioni e alla tolleranza”. E' un peccato che la storia del novecento abbia preferito leggere altri libri.
Oggi in questa mostra l’interprete non è uno studioso, un letterato e non è neppure di genere maschile. Ma è una donna, artista, medico e psichiatra.
Come a dire che la scrittura non ha tempo, se non il tempo in cui si trova. Non hanno un tempo la Torah, il Tanach, le Dieci Parole. Ma non ha nessun tempo tutto ciò che noi con buon senso e buone intenzioni intendiamo mettere in relazione con il ‘Libro’, se non il tempo contingente, quello che viviamo.
Il lavoro d’interpretazione, se messo in pubblico, e quindi esposto ad ogni possibile critica, non può che essere positivo. Esporsi è mettersi in relazione con l’Altro e con Altri. Per questo ciò che propone Margherita Levo Rosenberg, è interessante. Perché nel suo esporsi lascia aperta la dimensione della parola e della critica, di chicchessia.
Ciò che l’artista dice di sè è che …produce un suo nesso alla nozione di "cultura" intesa come prodotto strutturato dell'identità (di un individuo e di un popolo nello stesso modo) che fa da nesso e collante tra le generazioni (tradizione) e può essere baluardo alla minaccia, sempre presente, della bestialità umana ma, destrutturabile e camaleontica, può prestarsi ad un impiego perverso, che fa perdere il lume.della ragione. In questo senso la tradizione di Chanukkàh - la luce riaccesa dopo la minaccia di annientamento del Tempio - è un esempio di Struttura Culturale che, indipendentemente dalla fede, aggrega un popolo, anche nelle condizioni più dure, intorno alla prorpia identità. Il lavoro di Dante aggrega intorno alla sua opera un popolo che vi trova, anche a distanza di secoli, un'identità linguistica e culturale.
Questa mostra che prende il titolo LA FATICA DELLA LUCE, richiede quindi anche a noi uno sforzo, ci interpella affinché non si resti passivi, ma si giochi con la luce, le parole i sensi e le sensazioni.
Poi c’è dell’altro, ma sta all’osservatore cercarlo.
Buona fatica.
Margherita Levo Rosenberg, La Fatica della Luce....
Elisabetta Rota
Margherita Levo Rosenberg, artista sensibilissima e complessa dietro a un'apparenza di levità giocosa, partecipa alle tradizionali celebrazioni della festa di Chanukkàh della Comunità Israelitica di Casale con una sua personalissima lampada e con una installazione, unite da un titolo di forte valenza simbolica quale è “La fatica della luce”, sintesi intima e profonda del significato della festività per l'autrice, ma carico di valenze polisemantiche e multiculturali. Non bisogna dimenticare infatti che, se Chanukkàh “nella tradizione ebraica rievoca il miracolo della tenuta della luce dopo la minaccia della distruzione del tempio, che è minaccia d’annientamento di un popolo e di un’identità, della luce di una civiltà”, per usare le parole della stessa artista, praticamente per tutti i popoli dell'emisfero settentrionale del nostro pianeta, sin dalla più remota antichità, il mese di dicembre è caratterizzato dalle feste della luce: Hanukka, Natale, Yule, solstizio, S. Lucia, comunque le chiamino le varie culture, in queste celebrazioni l'accensione delle luci prima sostiene e dà forza al sole sempre più debole, poi simboleggia l'ansia, la sorpresa, la felicità e la gratitudine dell'uomo per il graduale, faticoso, ritorno della luce che è prima di tutto vita, germinazione, essenza, un'intuizione inconscia e primordiale, anteriore a qualsiasi religione rivelata; in seguito le culture hanno concettualizzato l'istinto, colmandolo di significati storici e religiosi importantissimi e fondanti, quale è appunto Chanukkàh per la tradizione del popolo ebraico, ma il nucleo rimane, possente e indiviso, leggibile e capace di emozionare anche il laico e l'agnostico.
“La fatica della luce”, unisce poi idealmente la lampada votiva all'installazione “Se Dante e il vento ed io”, quasi come se un'improvvisa illuminazione avesse permesso a Margherita di scoprire il materiale che compone l'opera, ed in effetti come non definire illuminazione il guizzo di genio e di creatività che sottende l'operazione? A partire dall'escamotage letterario del ritrovamento fittizio in una soffitta di strisce di pellicole radiografiche ricoperte di versi della Divina Commedia in ordine sparso, accompagnati da una poesia di autrice sconosciuta, si snoda un percorso articolato e complesso che tocca temi sensibili quali il valore profondo, anche esoterico, della parola, la dialettica eterna tra l'ordine e il caos, la crescita personale e i riti di passaggio che costellano anche la nostra vita di uomini moderni, anche se in maniera molto più inconsapevole, e incontrollabile, rispetto alle società tradizionali. Riti di passaggio innanzitutto perché la Commedia dantesca è per eccellenza un'opera iniziatica e perché per accedere all'installazione bisogna varcare una soglia, frusciante e oscura come la selva e poi dialettica tra ordine e caos, perché le pellicole azzurro grigiastre contenenti i frammenti poetici scompigliati vengono ricomposte in una sorta di ordine, seguendo lo schema di alcune costellazioni non ancora scoperte ai tempi dell'Alighieri, Orue, Lodràlo e Gràvia, una sorta di rinnovato paesaggio mentale dove l'antico si riorganizza e rinasce in un diverso equilibrio e dove la parola, portata da un vento divino, ritrova nuovi significati e si riscopre, ancora una volta, creatrice. Qui entra in scena il gioco di parole del titolo, dove ed io può leggersi e Dio e il tutto rimanda a una tematica profondissima e complessa quale è quella del rapporto tra la parola e l'essere: dal libro della creazione, nero su bianco e bianco su nero dei cabalisti alle speculazioni dei nominalisti medioevali sull'identità di nomi e cose, da Platone a Heidegger, dalle lingue sacre delle varie religioni alla lingua degli uccelli degli alchimisti, dallo sciamanesimo al Cyberpunk sempre la parola ha avuto un rapporto stretto con il piano ontologico, ma non è questa la sede per approfondire ciò che generazioni di filosofi non sono riusciti a definire pienamente, qui ci troviamo di fronte all'arte, e l'arte ,semplicemente, “parla” da sola alla vista e all'anima, con immediatezza, celando tutte le speculazioni logiche e concettuali che la sostengono.
Un video silenzioso accompagna infine questa installazione evocando l'evento raccontato nella poesia ed i frammenti, scompigliati dal vento e salvati dalla pioggia, parlano ancora un linguaggio nuovo....soffermatevi ad ascoltarli e
A voi convien trovar la somma e ‘l resto
Commenti 0
Inserisci commento