Mostre, Firenze, Montespertoli, 13 December 2014
Da circa vent’anni ci frequentiamo, io e il mio fraterno amico, con reciproca e costante attenzione al nostro lavoro; spesso condividendo anche duri pellegrinaggi nei luoghi dell’arte, meditazioni e quant’altro nutra la nostra resistenza alle bassezze che l’esistenza, per principio, infligge. Mi piace ringraziarlo adesso anche attraverso la parola scritta, sperando solo, per questo tramite, di rispettare lui e la sua opera. Quest’ultima è scultura, niente affatto dunque mera ripetizione del mondo sensibile. Beninteso, non che Domenico non ne tenga conto, solo non si arresta ad esso: Egli cerca di oltrepassare la forma esteriore delle cose; e se le pone innanzi a sè non lo fa certo per ri-conoscerne la scorza, semmai per togliere - come è proprio alle arti plastiche - quella buccia esclusivamente bruta, materia di impedimento a quell’Unità che, senza resistenza nè dispersione, tutto con-tiene. Naturalmente ciò presuppone la ricerca intransigente di quel pro-fondersi luminoso che, scrive l’ultimo Giacometti, è “lampo di tutto all’infinito”. La Luce, cui il mio caro amico tende, è gravida di possibili, giacchè egli non vuole arrestarsi alla densità cupa della materia, nè al suo scintillio superficiale, ma raccogliersi per penetrare in quel segreto ultimo che, senza negare la luce fisica, le forme e la materia, le profonde, le attraversa e le eccede; le unisce al di sopra del tempo, concretamente e in trasparenza, essendo lume conoscitivo che discerne senza separare, unisce senza omologare. Naturale, ancora, che questo meditato travaglio nulla abbia a che spartire con la facilità del tutto e subito, informante grandissima parte di quel rumore contemporaneo dal quale nulla di elevato può sorgere. Essenziale a questa via è invece il disporsi alla spoliazione di quanto si coniuga a ciò cui l’industria moderna ci ha da tempo abituato; poichè quest’ultima manca di quell’essenza sottile e cruciale, che solo la mano guidata dalla tensione non-duale, integrale, in una parola metafisica, può cogliere. Tale Essenza è il Di-segno, luce Sovrasensibile, trasversale alle diverse manifestazioni artistiche. Imprescindibile per scongiurare ogni ‘ismo’, a patto di non esser presa per clichè, formula, schematismo, moda; e piuttosto con-fusa con la ‘perduta’ euritmia. Questa, lontanissima dalla prosaica esistenza, ma infinitamente vicina alla folgorazione Intuitiva e alla pazienza necessaria a restituirla, è Rito; di capitale importanza per ri-trovare o accogliere degnamente l’Unità del contemplante e del contemplato, la coincidentia oppositorum, oltre l’ormai da lungo tempo istituita divisione tra soggetto e oggetto che tanto danno ha procurato e continua a procurare alla completezza del conoscere. I più vedono ormai le arti plastiche analogamente a fenomeni, simili infine agli oggetti che appaiono nel mondo manifesto, tutt’al più con l'unica variante d'essere giustapposti; ma, comunque sia apparecchiato, quest'ultimo è un prisma indefinito i cui riflessi fuggono sempre più in là, e il cui equilibrio può apparire per un solo meraviglioso istante dirimente. Tramite il disegno - come sopra inteso - il nostro scultore vuole arrestare questa fuga, senza tuttavia uccidere la profondità, alludendo vivamente al prolungamento di questo Equo Profondersi oltre il tempo. Per tale motivo la società dello spettacolo non può contenere questa tensione; e Domenico infatti non si concede alla trivialità, ci tiene che sia resa giustizia a quel compito che, se correttamente inteso, confina col Sacro; si è da tempo stancato della vetrina idiota, dozzinale, massmediatica, che è mero regno della quantità: egli cerca la qualità e ciò che la origina, e io non posso che condividere e ringraziare che ancora vi siano rari uomini che attendono questo.
Fausto Benvegna
Enna, 31 ottobre 2014
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