Questa che presentiamo è la mostra pensata dai tre giovani artisti che qualche mese fa hanno vinto ex equo il dodicesimo Premio Morlotti di Imbersago.
Maria Paola Grifone, Manovella (alias Luciano Sozio) e Erika Riehle, difatti, hanno concertato tra loro un tema, quello del vuoto, che consentisse di mettere in comune sullo stesso terreno le loro diversità di poetica, di immaginazione e di linguaggio, per un confronto insieme tutto interno alle problematiche della loro generazione (la media delle loro età è di 28 anni), alle loro preoccupazioni, contraddizioni, speranze e aspettative di stretta attualità, ma anche capace di allargarsi a spunti più generali e complessi, a riflessioni che investono proprio l’arte contemporanea e l’intero suo specifico, la natura e il ruolo dell’immaginario nel nostro complicato presente.
In fondo è proprio questa l’anima del nostro Premio: l’aver scelto ormai da anni di operare volutamente fuori dal circuito ufficiale del mercato e degli ambienti artistici accreditati, muovendo cioè come una sorta di scandaglio profondo, come una sonda capace di immergersi oltre gli strati già indagati dell’arte giovane, strati magari anche già “inquinati”, cioè già irrimediabilmente influenzati dal sistema dell’arte attuale, per promuovere così personalità e ricerche realmente inedite, fresche, incontaminate: giovani artisti capaci di ritrovare una vera densità di ruolo al loro lavoro. Capaci, o potenzialmente in grado, di dire parole nuove sul piano dei giudizi e delle idee.
Con ben chiaro in mente e nelle scelte, inoltre, l’obiettivo della più alta qualità.
E dunque il vuoto evocato dal tema scelto da questi tre giovani artisti non è solo assenza di peso e di scontorni, diluizione e annichilimento del senso, assopimento dei dettagli e degli spessori in una indistinta indefinitezza dell’oggettivo. È piuttosto un clima complessivo, il portato di un sentire etico che reagisce al frastuono estetico della nostra civiltà delle immagini e dell’effimero, che rifiuta un sistema alluvionale di icone e di mode artistiche sempre più svuotate di gravità, sempre più transitorie e provvisorie…
Vuoto avvertito nelle sue diverse profondità, nei suoi motivi, nei suoi riflessi etici, capace insomma di tradursi in forme plastiche, in evocazioni d’immagine, in metafore conclamate o solo alluse.
Ma quali sono le qualità di questo vuoto assunto dai nostri tre giovani artisti? Come si declina in ciascuno di loro?
Nelle cose attuali di Maria Paola Grifone, al centro d’ogni preoccupazione c’è il volto. Il volto come imprimitura definitiva dell’identità, come sintesi e schermo complessivi capaci di registrare e trattenere le tracce dell’esistenza, i segni contradditori dell’umanità. Ma la rastremazione e la sintesi scavano l’immagine. E dunque il volto si scioglie, si scarnifica, si prosciuga d’ogni superfluo, si svuota, appunto, delle superfetazioni, delle impalcature, delle aggettivazioni: si riduce al nervo ultimo, al segno che sta oltre il segnale. E affiora in superficie, aggallando dal limbo sfatto e indistinto di una realtà lacunosa, in pochi tratti dolenti, assorti, melanconici e bellissimi, di forte suggestione plastica.[...]
© Giorgio Seveso 2010
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