La 'città' di Umberto Boccioni è oltrepassata, attraversata, trasfigurata dalla visione della New York di Matteo Bonfigli: metropoli, e non più città, trafitta dalla congestione e coesistenza di istanti, momenti, tempi dilatati e tempi concitati, sovrapposti a neon, video, insegne luminose o insegne dipinte, fisse o mobili sguscianti, come serpenti urbani virtuali, da lastre di vetro, pareti laterizie, travi di legno o di acciaio, strutture di cemento forgiate secondo mode e desideri non sempre soddisfatti. Messaggi, informazioni, indicazioni, suggerimenti e suggestioni che fluttuano nello spazio urbano, come se le superfici che sostengono tutto ciò svanissero: loro stesse inghiottite dai messaggi, annullate nella loro matericità per cedere il passo all'inevitabile, all'imposizione e alla circolazione delle merci, alla loro propaganda pubblicitaria. Le immagini che Matteo Bonfigli consegna all'osservatore delle sue tele emulsionate, offrono panorami urbani connotati da una sorta di 'realismo magico'. Una realtà vissuta, sperimentata, trasognata, ripensata o semplicemente ricordata, conservata dalla memoria selettiva e discriminante di quanti attraversano o hanno attraversato le strade, i vicoli, le stazioni metropolitane, i monumenti, i musei, gli edifici pubblici e privati di New York per esigenze quotidiane o turistiche. La peculiare selva di High Rise Buildings che connota la città --ripensata e raccontata dagli ambienti di lavoro di Matteo Bonfigli, attraverso quei versatili 'schermi' che ne fanno rivivere memorie ed emozioni-- offrono all'osservatore delle sue tele dense emozioni. Emozioni visive di forte intensità, stimolate anche dalla invasiva presenza di una convincente ed eterogenea con-fusione cromatica. Cromatismi selettivamente impiegati, capaci di restituire non solo l'assordante frastuono visivo di New York ma, contemporaneamente, consentono di percepire e assaporare le pulsioni, gli umori e, addirittura, gli odori di questa singolare realtà urbana. Le immagini offerte da opere come "The Geat Gun in The Sky" o "Flag" arricchiscono l'esperienza che si può avere percorrendo le Streets o le Avenues newyorkesi riportando alla mente, in un tempo differito, le figure annidatesi furtivamente nella memoria di quel passeggiare incosciente e stralunato --sempre in agguato-- quando ci si imbatte, per qualsiasi esigenza concreta o per un esclusivo piacere astratto, nella magia di una realtà urbana d'eccezione.
Ma non è tutto. Gli esiti della ricerca linguistico-formale di Matteo Bonfigli rivelano riferimenti 'diretti' --"Pollock's Bike" o "Broadway"-- alla tradizione pittorica americana dell'Action Painting, rivisitata e rielaborata attraverso una sorta di 'Action Photo Printing' che fa tesoro, anche, di determinate 'solarizzazioni' tipiche della ricerca fotografica innescata dalle avanguardie artistiche del primo Novecento: si pensi a Man Ray o ad Alexandr Mihailovic Rodcenko, tra i vari artisti- fotografi. Riferimenti 'indiretti' ai 'brani di pittura' arricchiti da immagini serigrafiche, prodotti da Robert Rauschenberg a partire dal 1963, emergono invece --come per un'inevitabile contaminazione-- in tele quali "Bridges", "Harlem Nights " o "Blue Kara".
A "Green Love", estendendo il significato del titolo assegnato alla tela, è lasciato il compito di rivelare l'amore per la 'sempre verde' stagione pittorica della Pop Art statunitense, così come -- da quel titolo-- affiora pure la 'sempre verde' passione affettiva di Matteo Bonfigli per la 'vecchia' New York. Una metropoli rugosa ma capace, proprio grazie alla sua stratificazione di significati e alla sua densità morfologica, di suscitare sempre 'nuove' emozioni anche nel corso del terzo millennio: attraversandola e avventurandovisi senza mete prefissate o idee preconcette. Così come è consigliabile fare nell'esperire i messaggi delle opere di Matteo Bonfigli.
Maurizio Gargano
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