Una stanza, gente che chiacchiera e beve, l’odore di incenso, dj set che suona dai Joy Division ai Massive Attack, drappi neri attaccati al soffitto, un termosifone rosso, e davanti a noi, un quadro di una donna deformata, con i capelli rossi taglio belle époque su uno sfondo nero ed incapace di reggersi su una sedia, ci sconvolge. Subito dopo, alla nostra sinistra, ci ritroviamo in un’ altra stanza piena di quadri, in cui emerge la figura della donna, allegoria principale del lavoro di Anam.
Infatti, come più tardi ci chiarisce, “parlo della donna perché sono una donna, altrimenti non riuscirei ad esprimere qualcosa che non conosco”.
Oli su tela o su legno, di media dimensione, di stile e titoli simbolisti e un atteggiamento espressionista: “L’apparenza inganna”, donna con reggicalze e con una catena al collo, con un’espressione in volto sicurissima; “L’ombra in realtà è una meridiana”, su uno sfondo verde petrolio e blu scuro, in una stanza con angolazione impossibile, una donna rannicchiata che ci guarda e un’ombra che non le appartiene.
Con la cattiva abitudine di chi ha un bagaglio visuale-culturale forbito alle spalle, diversi avvertono un eco espressionista di Matisse,
tragico di Munch, deformato di Osvalo Licini o Francis Bacon… Presto questa vivace ragazza ci insegna come l’utilizzo di un posa artistica e culturale non è una copia, ma il segno di un’emozione inalterabile nel tempo; infatti confrontandoci con altri presenti in sala, abbiamo avvertito questo segreto: la tragedia umana, un sentimento inalterabile nel tempo.
Forse, per chi ha un occhio di lince, “Immersa nel tutto” gli sembrerà un quadro diverso dagli altri, e infatti, ne avrà la conferma della stessa autrice: “ricorda solo me”.
Non è la prima volta che ci troviamo davanti a giovani autori che tornano a mezzi espressivi apparentemente fuori dal mercato artistico contemporaneo.
Riferendoci agli artisti tedeschi, come Anselm Kiefer, che nei primi anni ’80 di fronte all’eccessiva smaterializzazione dell’arte rivendicavano un ritorno ai formati tradizionali quali l’olio su tela, chiediamo ad Anam: è un caso che in questo nuovo secolo, parte della società torna alle origini? Ad esempio, la manualità di chi lavora la terra, o chi di fronte al video making e alle luci di neon, ha bisogno di tornare alle arti plastiche classiche? L’importanza dell’usare il colore e la linea non è solo il tratto finale dell’opera ma soprattutto il percorso esorcizzante che accade nel creatore.
Probabilmente in questa post-post-modernità, dove tutto è vetrina, questa mostra ci ricorda l’esistenza di uno spazio in cui sfruttare il vissuto e personalizzarlo. “Se non lo faccio ora, non lo faccio più”. Questo è un esempio della coscienza di vivere in un tempo e in un posto concreto: “cammino non per riflesso ma per consapevolezza”
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