Le 4 mostre saranno visitabili fino al 12 settembre, tutti i giorni dalle ore 11 alle 18. Lunedì chiuso.
Queste le quattro mostre del terzo ciclo:
KOINÉ, 60 artisti della Galleria Zamenhof per una lingua comune dell’arte contemporanea
A cura di Valentina Carrera e Virgilio Patarini
In mostra quadri sculture e installazioni di Franco Maruotti, Paola Gamba, Roberto Fruggeri, Giuseppe De Michele, Anna Maria Bracci, Alberto Besson, Walter Bernardi, Marco Bellomi, Salvatore Alessi, Marco Ruffini, Marco Bozzini, Enza De Paolis, Amina Redaelli, Kay Pasero, Alessandro Crini, Leonardo Balbi, Mara Gessi, Andrea Greco, Paolo Lo Giudice, Angelo Petrucci, Paolo Facchinetti, Giorgio Carluccio, Giuseppe Orsenigo, Laura Di Fazio, Siberiana Di Cocco, Vito Carta, Marino Benigna, Simone Azzurrini, Ako Atikosse, Mariangela Tirnetta, Raffaele De Francesco, Maurizio Molteni, Salvatore Starace, Milena Pedrollo, Michele Recluta, Rosa Spina, Giacinto Ferrero, Angela Keller, Lorenzo Curioni, Luciano Valensin, Consuelo Rodriguez, Ersilietta Gabrielli, Lisa Sabbadini, Daniela Doni, Arianna Loscialpo, Esa Bianchi, Ilaria Battiston, Marco Cressotti, Lucio Pedotti, Fiorenzo Bordin, Clara Zambotti Luminoso, Edoardo Stramacchia, Sasha Zelenkevich, Moreno Panozzo, Fabio Cuman, Luigi Profeta, Stefano Accorsi, Simone Boscolo.
MAX GASPARINI, Presenze (Padiglione Islanda)
A cura di Virgilio Patarini
SILVIO NATALI, Il cercatore di fiori
A cura di Virgilio Patarini
IVO STAZIO, Antologia 1999-2012
A cura di Valerio Grimaldi
Qui di seguito una presentazione sintetica delle 4 mostre
KOINÉ, 60 artisti della Galleria Zamenhof per una lingua comune dell’arte contemporanea
C’è un’eredità che giace da molti anni in attesa di qualcuno che se la prenda. Una straordinaria, ricchissima, problematica, contraddittoria eredità. Un’eredità che si è andata accrescendo generazione dopo generazione, nel corso di quasi tutto il Novecento, poichè ogni nuova generazione rinnegava sistematicamente il lascito della generazione precedente e, coerentemente, cercava altrove la propria fortuna, attingeva da altre fonti i propri tesori. Così decennio dopo decennio tale eredità cresceva a dismisura. Cresceva e si complicava. Una eredità in cerca di eredi: l’eredità dell’Arte del Novecento.
Ma più passa il tempo più la faccenda si complica. E certi lasciti rischiano di apparirci oggi inutile (e inutilizzabile) paccottiglia da robivecchi. Lo scolabottiglie di Duchamp si è arrugginito. L’Urlo di Munch riecheggia lontano, sempre più lontano. E il taglio di Fontana vien voglia di ricucirlo ...
Credo che oggi, dissolto il miraggio del nuovo a tutti i costi e smaltita la lunga, secolare sbornia delle Avanguardie, uno dei compiti che attende l’artista “post-moderno” sia quello di elaborare un linguaggio, una “koinè”, che attinga a vocaboli, sintassi e regole estetiche e grammaticali di diversa provenienza (meglio se di matrice novecentesca) e che sia in grado di contaminare e possibilmente far conflagrare almeno alcuni degli universi di segni che le varie Avanguardie hanno creato nel corso del secolo scorso e ci hanno lasciato come eredità...
Virgilio Patarini
MAX GASPARINI, Presenze (Padiglione Islanda)
Affiorano da vecchie lamiere arrugginite o da brandelli di tela grezza di juta cuciti insieme, una luce bianca a tratti abbacinante li disegna, li porta alla luce, li fa affiorare dal limbo oscuro della notte dei sogni, galleggiare alla luce straniante della coscienza: sono volti e corpi colti in un attimo di sospensione, come strappati fuori dal flusso vorticoso del tempo, svelati dal guizzo rapido e sicuro di un disegno, di una pittura che è al tempo stesso enigma e rivelazione. I volti e i corpi dipinti da Max Gasparini sono Presenze: fenomeno che rivela il noumeno, apparenza che ci fa intuire l’essenza. Non ci rivelano l’enigma dell’Essere, non svelano la cifra dell’Incanto: ce la mostrano, ce la indicano. Al di là del turbine e del chiasso del Divenire sono Presenze immobili e silenziose, sentinelle dell’Essere, testimoni (muti) del Tempo oltre il tempo, o più semplicemente del nostro disperato desiderio di Eternità.
Virgilio Patarini
SILVIO NATALI, Il cercatore di fiori
Silvio Natali nelle sue tele variopinte e corsive coniuga il magistero di Leonardo Da Vinci con le suggestioni di Keith Haring. Sulla scorta dell’insegnamento del sommo toscano, infatti, l’artista marchigiano pone con decisione e consapevolezza il disegno alla base delle sue composizioni: un segno tanto rapido, corsivo, quanto sintetico e controllato, che definisce e circoscrive ogni elemento figurativo secondo linee essenziali, di vaga ispirazione fumettistica e pop. Dal fumetto la pittura di Natali attinge la stilizzazione del disegno e la resa immediata delle figure e dei paesaggi; dall’immaginario pop un certo gusto spiccato per i colori eccessivi, sgargianti, virati in tonalità spiazzanti, per gli accostamenti acidi e per una stesura del colore ‘a plat’ in ampie o minute porzioni di tela. E poi c’è questa sorta di ‘orror vacui’, questo bisogno profondo e viscerale, irrefrenabile, di riempire di segni, disegni guizzanti e colorati, ogni spazio libero dalla superficie, che porta l’artista di Corridonia a vergare arabeschi in ogni porzione di tela lasciata libera dalle masse delle figure e degli elementi principali della composizione. Balza all’occhio nella fattispecie la similitudine con la proliferazione di omini e ghirigori sulle tele di Keith Haring. Si crea in definitiva un rapporto dinamico e dialettico, sul piano visivo, tra colore piatto e disegno corsivo. Forse si tratta di un rapporto di tipo ‘ritmico-musicale’ che guida la percezione dell’opera: lo sguardo accellera nel seguire le volute nervose, rapide e decorative del disegno, e rallenta, fa una pausa, quando si posa sulle ampie, riposanti campiture di colore piatto. In questo il fruitore è portato a seguire passo passo il ritmo che l’artista ha a sua volta seguito nell’esecuzione dell’opera, e con l’artista, col flusso inquieto e imprevedibile dei suoi pensieri, col suo respiro, con la danza della sua mano sulla tela, entra in empatica sintonia.
Virgilio Patarini
IVO STAZIO, Antologia 1999-2012
Rintracciare dopo la scomparsa di Licia Sovrani Lamma e di Giuseppe Gagliardi un erede possibile del dipingere sospeso tra astrazione naturalistica ed evocazione, esorcismo di colore metabolizzato emozionale e ragionato insieme appariva sempre meno probabile, forse impossibile. La comparsa sulla scena dei pittori di casa nostra di un giovane artista come Ivo Stazio può fare ipotizzare questa continuità.
Stazio continua la grande capacità coloristica e tonale, il succedersi di cromie rancide e carnose... I colori che sembrano seguirsi a piani, la solidità descrittiva che fece scrivere a Francesco Arcangeli una storica critica sugli "ultimi naturalisti".
Queste opere da una parte registrano un grande accanimento tonale, un compiacimento coloristico che subisce improvvise accelerazioni di impasti cromatici assolutamente desueti, un plein air conquistato attraverso una serie di rarefazioni, di filtri che lo allontanano da un naturalismo del quale le immagini potrebbero compiacersi.
Alcune tenuità morandiane e schermature di colore, la non perimetrazione dei volumi, lo sfuocarsi che si combina nelle calcinature gessose dei calanchi o in una matericità quasi informale dell'affresco sono stadi aggiuntivi che Stazio propone nella tensione di affrancarsi da un monitoraggio di costanti impressioniste.
In effetti il passaggio ulteriore che Stazio compie è quello verso un neo-naturalismo che aggangia insieme rarefazione, estraniazione del visto e accentuazione, concentrazione, sintesi di luce, piani, fughe, sovrapposizioni incantamenti che il visto rappresenta. Il colore e il suo doppio per parafrasare Artaud.
Ma sempre con il colore e dentro il colore.
Valerio Grimaldi
Per ulteriori approfondimenti:
www.prospettivapostavanguardia.jimdo.com
Sede e orari della rassegna:
Palazzo Zenobio, Dorsoduro 2596
Martedì-domenica ore 11/18. Lunedì chiuso
Per informazioni:
email: galleria.zamenhof@gmail.com
tel.: 333.80.322.46 (Virgilio Patarini)
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