Mostre, Catania, Bronte, 26 May 2012
La giarrettiera di Fillide e l’illusorio scacco alla regina

Tradimento divino; maculata concezione; mistero imperfetto: l’arte, nella donna, trova la sua platonica e più vitale incompiutezza. Un’interdizione che è dimora della possibilità, geminazione agonistica di stupori, in una parola: multiverso. Ogni opera è, perciò, riverbero, incontro, volto. Spiazza e diviene - per sua stessa natura - un loculo ancora cangiante, atteso tradimento di sé. Compianto e interrogativo termico.
I trentadue artisti vivono qui stazioni per un grido, cantano un interludio sempre ignoto. Vibrano di personalità e accenti, sfumano i confini. Avvertono, per istinto, la seduzione del locus colto, disarmante, antifilosofico. Nel limite ACA, Crapanzano, KÁ, Ferlito, Marcantonio, Squillaci e Vio restituiscono l’impronta astratta, un’incisione di coscienza: materia e alterazione; nella commistione, in un tormentato vortice lirico, Badalà, Antonio Finocchiaro, Grasso, Proietto, V. Tomasello, mentre in Pappalardo il dialogo è condotto per interfaccia. Nel figurativo d’impronta, dunque, Aleo, Chinelate, Alessandro Finocchiaro, Mazzaglia, Rizzo, Schilirò; fino in terra di soluzione simbolica Biuso, Borgese, Calderone, S. Finocchiaro, Minio, Nicosia, G. Tomasello. Hapaxes, metaplasmi, l’oggettualità di Trovato, il colpo indelebile; l’installazione – ombra di Leotta, le sculture in varia tecnica di Guarrera, Russo e Masullo; la foto – età di Di Silvestro. Aspetti vorticosi di uno smarrimento e di un incanto. Rantolii di cruda e lussuriosa metamorfosi, ricatto di natura e sortilegio cosmoide.
Pennellate per un’impronta; una variazione; un’innamorata, immorale, fobia. Stupor, dicevamo più semplicemente, per un pellegrinaggio che è sempre equidistanza dal punto di partenza. In questa atrocità, la sua ragione, la sua arte.

Placido Antonio Sangiorgio



Ripartire le opere di una mostra, in classi d’appartenenza alle varie scuole, da affinità stilistiche, attributi pittorici, per il gallerista è importante. Assume carattere di omogeneità nei moduli estetici che si vogliono offrire ai visitatori.
Nuovi valori spirituali, portanti, emergono forti nel sentire sociale, estetico, artistico. Il fenomeno influisce profondamente negli ordinamenti espositivi delle mostre.


La mostra di Adrano, riproposta a Bronte, guidata dalle caratteristiche dei singoli lavori, ha condizionato il loro ordine espositivo. È stato finalizzato, infatti, il raffronto delle situazioni estetiche antitetiche delle opere, per stile, contenuti, significati lontani, divergenti i rapporti sociali, i segni.
La visione d’insieme desta la sensazione di essere divenuto il pensiero, in ogni artista, tanto indipendente, isolato, esploso nelle coscienze, intriso di principi ideali cresciuti in cammini estetici propri, elucubrate le visioni filosofiche, il cui distacco dalla tradizione è netto, vivo il rifiuto degli assilli sociali, delle verità morali che hanno modellato l’umanità del passato, obsolete nel fermento odierno, penoso, da fare esclamare: siamo in presenza di pensiero brado, il cui oggettivarsi produce arte brada, il cui valore intrinseco si riduce alla bellezza della singola opera, del singolo oggetto vissuto nella propria intimità, graduatala la bellezza estetica realizzata dall’abilità tecnica personale, dal sentire estetico dell’artista che l’ha concepita, formalizzata, tirata fuori dalla coscienza, esternata, espressa.
Arte brada, da profondi scuotimenti del pensiero, distaccato, disperso nel brancolare brado del sociale, tuttavia chiaro, luminoso, non affetto da confusioni nel riflettersi sugli oggetti valutati, prescelti, elaborati. Scuole e tradizioni sono finite. Il sentire è entrato in piena dispersione, si aggira intorno a oggetti i cui valori esistenziali, definiti, hanno una propria portanza. L’artista si è incamminato in sentieri da esplorare, in ricerche da ipotizzare e sperimentare, lavora più guidato dal continuo evolversi del proprio pensiero, sfuggitogli di mano, che guidato dal dominio della propria volontà.
Salvatore Emmanuele




“La donna nell’arte: realtà e immaginario”. Realtà perché la storia dell’arte, in tutte le sue forme, ha sempre raccontato e celebrato la donna. Lo ha fatto con le statuette di terracotta preistoriche nelle quali si metteva l’accento sulla componente materna; lo ha fatto nel corso dell’età classica quando la donna era rappresentata come dea o come silenziosa ancella. Ancora donne celebrate nelle chiese medievali, madonne di luce e allegorie severe. Nel corso del rinascimento la donna esplode come forza rigeneratrice della natura e mito di eleganza e bellezza. Nell’età barocca l’immagine della donna si carica di turgore e di sacralità; nel settecento è fragile e mutabile; nell’Ottocento è ora fedele compagna e angelo del focolare ora sirena crudele e pretenziosa. La donna contemporanea è, nelle opere d’arte, musa inquietante e fragile specchio di una società crudele e materialista. La donna nella arte è, comunque la si voglia vedere e interpretare, protagonista assoluta della scena, dea e diva del mondo e della natura.

Maria Teresa Di Blasi storica dell’arte.

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