Mostre, Milano, 05 November 2013
Il giorno dei morti è una festa a Cupilco, il giorno in cui i defunti scendono dal cielo per incontrare i famigliari, consumare con loro la cena, venire aggiornati sugli accadimenti che hanno interessato la comunità e magari dare consigli pratici. Una festa, un convito. A Cupilco non si professano finalismi, semplicemente si commuta l’esistenza fra terra e cielo grazie al servizio alato del dio del vento Eh-écatl. Eliazar Hernandez Arias nasce e opera nel villaggio di Tamulté de las Sabanas, vicino a Cupilco, nel Messico meridionale. Lì, dove l’alto e il basso si fondono, Eliazar ha scoperto l’arte del dipingere, dapprima comales (piatti di terracotta), poi tele, quindi grandi pareti, persino l’enorme serbatoio d’acqua della capitale dello stato del Tabasco, Villahermosa. Lì apprende il linguaggio del realismo magico, non quello novecentesco, metafisico, giocato, in Europa, come ritorno all’ordine ma quello della tradizione pre-ispanica, profetico e tramite di conoscenza sapienziale. Sospeso tra mito e fede, il suo lavoro si nutre di memoria collettiva, rielabora il credo estetico e civile di un popolo industrioso e aggiornato. Dà vita, sotto l’occhio critico degli anziani, a murales narrativi di fatti non grandiosi ma sentiti e partecipati, quali la realizzazione di un ponte o di un tempio alla Vergine. Nei lavori su tela prevale la suggestione folclorica caratterizzata dal segno forte, sinuosamente barocco e dai colori accesi. Vi si rappresentano naturalistici e decorativi campi di mais e platanales, ma prevalgono i temi religiosi: un Golgota tra i bananeti e il golfo del Messico nello sfondo; una visionaria immagine del Padre su un tronco gigantesco di ceiba; una processione di contadini che alzano fiaccole votive; una Vergine tra serti di luce vivida e irraggiamenti mistici che paiono fuochi d’artificio. Nel giorno dei morti, il 2 Novembre, la più autentica manifestazione del Messico profondo, inserita dall’Unesco nel patrimonio intangibile dell’umanità, Eliazar dà il suo contributo illustrativo e partecipa alla costruzione degli altari di tagéte, prima di prendere il volo per Milano e sovrintendere all’allestimento della mostra, in particolare all’installazione di un “altar de muertos”, quelle piccole costruzioni famigliari, fatte di frutta, mais, fiori, legna, tortillas e tamales, aguardiente e pozol e assistere alla inaugurazione del 5 di Novembre. A Massimo De Giuseppe, storico del Messico, va il nostro ringraziamento per l’ideazione dell’evento, il testo in catalogo che tratteggia lo sfondo storico della regione del Tabasco, la recapitazione della ventina di acrilici in mostra. Ad Alessia Locatelli va il nostro grazie e il merito di essersi misurata criticamente con una espressione d’arte etnica e inusuale per le sue “corde” di storica dell’arte contemporanea ed eurocentrica.
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celeste,
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