Pregnante, decisa, segnica eppure così frammentata e sfuggente. La pittura di Francesco Spatara provoca suggestioni elusive. Il segno, organizzato in immagini al limite della figurazione, si frantuma nel tentativo di inseguire più tracce, di destrutturarsi in infinite varianti, quasi si trattasse di cogliere la visione nell’attimo veloce in cui mostra tutte le sue possibilità di mutamento. L’artista arriva a dialogare con una realtà diventata pittura; si lascia guidare tra gli strati di colore fino alla radice della visione, magari con un contorno deciso evidenziato dalla forza cromatica di un rosso scarlatto.
I dipinti di Spatara trasmettono il fascino della scoperta del quotidiano, della poesia di ogni giorno. Sono i suoi paesaggi sardi nei quali l’artista, dal tocco dolente e grandioso ha ritratto una terra assolata, arsa e afosa, brulicante e passionale una terra lontana anni luce dalla pace malinconica della nebbiosa pianura. Nel suo lavoro c’è dunque una attenzione speciale per la realtà, per il desiderio di vivere quell’atmosfera che col passare del tempo si definisce intorno alle cose ed agli oggetti restituendo loro una diversa e più profonda lettura. Per questo Spatara ricorre ad una pittura fortemente timbrica e segnica, sensibile tanto alle seduzioni neonaturalistiche che al richiamo dell’informale. Ma davanti alle sue opere è del tutto inutile interrogarsi sulla genesi dei segni, se a prevalere è la composizione astratta o quella figurativa, quella espressionista o quella informale. Come non deve stupire se da una macchia improvvisa di colore vediamo emergere una bottiglia, una casa o il corpo appena abbozzato di una donna; perché, se da un lato, c’è questa continua necessità di confronto con la vita, dall’altro la rappresentazione si fa teatro fisico e simbolico dello scontro tra luce ed ombra, tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Un’ambiguità del quotidiano che si svela poco alla volta così come i particolari stessi che non saltano subito all’occhio. Può essere anche solo un dettaglio, una piccola sfasatura appena percepita che crea questo stato di sospensione temporale; pure i colori contribuiscono ad alimentare quel clima di attesa, i blu accesi con le loro tonalità falsate, irreali, da sogno, all’interno di un panorama sicuramente figura-tivo, ma di una figurazione che pur essendo fedele ai particolari descrittivi va oltre. Uno spazio dove anche nella più incombente minaccia di buio, inteso anche come buio dell’anima, la notte non arriva mai, tradita da intermittenti sprazzi di luce per i quali Spatara sembra abbandonare la controllata tradizionalità del pennello e si affida all’istinto (…).
E’ così che i suoi paesaggi, le sue nature morte, i nudi che non mirano né all’erotismo né alla provocazione, vengono in un certo senso purificati, acquistando una dimensione “altra”. Non sono più semplici riproduzioni naturalistiche, seppure re-inventate dall’artista, ma diventano luoghi virtuali dove gli elementi tratti dalla realtà si riducono all’essenza, al “sapore di un luogo”, arrivando a mostrare ulteriori sfaccettature che rientrano all’interno di una sfera emozionale e soggettiva per rivolgersi ad una interpretazione più riflessiva, espressione dell’interiorità di ognuno di noi.
L.Corradini
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