Andrea CEREDA
Armando FETTOLINI
Fabio PRESTI
a cura di Rita Marziani
OPENING: 19 GENNAIO 2012, a partire dalle ore 18.30
La mostra proseguirà fino al 25 FEBBRAIO 2012
Via Ciovasso, 17 - 20121 Milano
Tel/Fax +39 02 72001392 Mobile + 39 347-2774606
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ORARIO DI APERTURA:
Dal lunedì al sabato 14.00/19.00
(fuori orario su appuntamento)
Indagare l’essenza dell’Umanità è richiamo imprescindibile per intelletti fini e spiriti vigili, istintivamente volti al recupero del senso globale e dei valori primigeni. Riconoscimento, comprensione e realizzazione dell’Umanità sono temi unificanti dell’opera artistica di Andrea CEREDA, Armando FETTOLINI e Fabio PRESTI, la cui riflessione, fluida ed articolata, si svolge in parvente assenza dell’umanità medesima: dell’uomo, molto si può raccontare anche senza raffigurarlo in maniera esplicita, lasciandolo discretamente sottinteso e consentendogli di affiorare paziente in versi di poesia.
“IN ABSENTIA”
390 a.c. R08; Anno più, anno meno.
Un irrequieto Antistene, relativista per vocazione ed alieno alla teorizzazione dei
modelli unici e perfetti cari all’idealismo filosofico, con piglio provocatorio si rivolge
a Platone: “Io vedo l’Uomo, ma non vedo l’Umanità”. Al che, Platone pare aver
risposto “Perché non hai gli occhi per vederla”. Forse, semplicemente, “troppo
umani” erano quegli occhi per scorgerla, come pure quelli dell’eccentrico Diogene
(di Antistene convinto seguace), che girava per il foro di Atene con la lanterna
accesa in pieno giorno, dichiarandosi alla ricerca (vana) di questa immutabile ed
eterna Umanità.
Prescindendo da sottili e squisite valutazioni filosoficoR08;gnoseologiche, la forma pura
dell’Umanità, quale principio assoluto consistente nel “mondo delle idee”, è
senz’altro impossibile da accertare; ciò nonostante, indagare la sua essenza è
richiamo imprescindibile per intelletti fini e spiriti vigili, istintivamente volti al
recupero del senso globale e dei valori primigeni. Riconoscimento, comprensione e
realizzazione dell’umanità sono temi unificanti dell’opera artistica di Andrea
CEREDA, Armando FETTOLINI e Fabio PRESTI, la cui riflessione, articolata ma fluida,
si svolge in parvente assenza dell’umanità medesima: dell’uomo, si può raccontare
molto anche senza raffigurarlo, lasciandolo discretamente sottinteso, così come
avviene per gli amori – quelli grandissimi – che, pur rimanendo inconfessati,
possono leggersi nell’intensità di uno sguardo o di un piccolo gesto, e, nel loro
silenzio, rimanere fedeli a se stessi per un’intera vita.
Insondabile ed al tempo stesso tangibilissima, è la presenza dell’uomo nelle sculture
di Andrea CEREDA, racconti di ferro nati dall’intreccio fra lamiere ossidate di barili
variopinti, sezionate con il flessibile, risaldate fra loro e restituite a nuova vita, in
composizioni volte a ricreare i parametri spazioR08;temporali che determinano
l’individuo; affascinanti microR08;cosmi in dialogo con se stessi e –
contemporaneamente R08; con il contesto geografico, sociale ed economico di loro
appartenenza, le sculture di Andrea ci ricevono in un abbraccio avvolgente, rifugi
dall’obnubilante eccesso di informazioni esterne, crotti accoglienti, che favoriscono
e proteggono la ricerca introspettiva di coloro i quali perseguono la centratura verso
un equilibrio (complesso ma possibile) fra le svariate componenti del sé: un percorso
luminoso (per quanto R08; a tratti R08; sofferto), che R08; necessariamente R08; implica
spoliazione da quanto è sovrastrutturale e rinuncia alle certezze precostituite; un
indefesso lavoro di limatura e cesello del sé, mirato a far emergere la snellezza
interiore, pregevolmente trasposta da Cereda nelle proprie opere: le sue sculture in
ferro, nonostante la forza e l’energia primordiale della materia prima, sono
leggerissime R08; a tratti eteree – e lievi interagiscono con lo spazio circostante,
sviluppandosi talvolta da supporto rigido, talvolta da sostegni sottili, che, eleganti e
filiformi quali zampe d’uccello, ne permettono la mobilità; dialogano – le sculture R08;
con le superfici adiacenti, in vivaci e mutevoli giochi d’ombra, che l’artista ama
proporre, sia quale caloroso invito a confrontarsi in maniera consapevole e
costruttiva con il divenire continuo dell’esistenza, sia quale memento per una
fiduciosa apertura alla comunicazione, suggerita anche dalla lieve inclinazione a
sinistra delle sculture, intesa a marcare idealmente il punto iniziale della scrittura e,
con esso, l’alba di un suggestivo racconto di vita, impresso nelle lamiere dai toni
caldi e vibranti della ruggine, testimone preziosa di giorni non invano trascorsi.
“La ruggine è una velatura che si forma su qualcosa di dimenticato” R08; scrive Fabio
PRESTI, che può offrire nuove possibilità espressive a forme e materiali; grazie al suo
utilizzo e a quello di altri pigmenti poveri (polveri, resine e colle) R08; ad essa
armoniosamente miscelati, Presti scalda le proprie tele in translucido effetto
marmorizzante e conferisce ad esse un’impronta fortemente materica, prediligendo,
nel contempo, una spiccata essenzialità di raffigurazione del soggetto, che affiora
graduale per progressiva sottrazione: la figura umana, di piccole dimensioni e
delineata in estremo rigore di tratti, priva di fisionomia precisa, ma in atteggiamenti
e posture che ne rivelano la condizione di perplessità e smarrimento, sola si
presenta al centro della tela, per poi da essa gradualmente congedarsi, lasciando R08;
quali unici protagonisti della scena (in un prevalere di toni grigioR08;rossoR08;marroni) R08;
amabili cagnolini, rimasti d’improvviso soli. Soli quanto un uomo…
Grande è la solitudine dell’uomo, sopraffatto da bisogni indotti, dai quali fatica a
prescindere, ritenendoli fattori determinanti (e, pertanto, indispensabili) per la
propria felicità. Confuso da un consumismo logoro e stanco R08; pur tuttavia assai
radicato, l’uomo rischia di perdere di vista la propria identità ed i propri valori,
scoprendosi di giorno in giorno più solo, vuoi perché fagocitato da un sistema dal
ventre molle, ormai avvezzo a proporre surrogati ben confezionati, vuoi perché
questo stesso sistema – piuttosto R08; lo rifiuta, scegliendo di rimanere in disparte ed
attorniandosi di “simili sensibili”, in nucleo assai ristretto. Uscire dall’’isolamento è
comunque possibile, attraverso un coraggioso processo di “decostruzione”, che
implica scardinamento delle false credenze, presa di coscienza del sé, rinnovata
apertura comunicativa, nonché riscoperta del valore degli affetti, e, soprattutto,
fiducia nel cambiamento e nella possibilità di attribuire alla propria vita una
direzione differente, simboleggiata nelle opere di Presti, dalle piccole date, che R08;
apposte con il timbro sulle tele – segnano la ricorrenza di fondamentali momenti di
svolta, rimandando ad una diversa e più profonda consapevolezza.
L’indagine sulla solitudine dell’uomo percorre anche l’opera di Armando FETTOLINI,
in polarità dialettica fra “sentirsi” ed “essere” solo – “feeling lonely” o “being alone”,
con più marcata differenziazione etimologica nell’accezione britannica. “Essere solo”
non implica necessariamente “sentirsi” tale: la solitudine, spesso condizione di esilio
recante in sé echi di disagio e sofferenza, può essere, di contro, fortemente attesa,
in quanto straordinaria opportunità di riflessione e catarsi. L’uomo, quando anela
alla limpidezza interiore, silenzioso cerca il ritiro, in defezione dai pressanti impegni
quotidiani: tecnologicamente disR08;connesso, si rifugerà nel proprio appartamento di
città (i nuovi eremiti – si sa R08; vivono nelle metropoli, nell’indifferenza delle quali un
uomo può appassire, senza che nessuno senta il bisogno di accorgersene) oppure si
lascerà avvolgere dalla quiete della natura, uscendo per una passeggiata al parco,
su un lungomare deserto o, magari, per sentieri di montagna; quando sali in
montagna, passo dopo passo, crucci ed inquietudini si sfilano via: la fatica disincaglia
i pensieri. Raggiungendo la vetta, senti la tua energia fluire libera e, una volta
ridisceso, grato volgi il tuo ultimo sguardo alla montagna, che, ancora una volta, ha
saputo restituirti a te stesso. I sassi che scricchiolano sotto la tua scarpa robusta,
accompagnano pacati le tue riflessioni; ne hai preso uno, mentre salivi, e lo hai
aggiunto alla piccola piramide di pietre che altre mani hanno innalzato, passando lì
appresso: hai poggiato il tuo sasso anche tu, la tua storia è diventata parte
integrante della memoria collettiva…
Affascinato dall’emblematicità evocativa dei sassi, Fettolini ha voluto raffigurarla
tanto nei disegni su carta, quanto nelle opere su tela, utilizzando R08; per queste ultime
R08; una tecnica affine a quella di Fabio Presti (miscele di pigmenti poveri, polveri,
legno ed intonaco), da lui distinguendosi per una maggior incisività di penetrazione
negli strati materici e per le scelte cromatiche (sovrapposizione morbida di velature
nei toni del rosa e dell’ocra, su sfondo chiaro). Di quale meraviglioso racconto
possono farsi narratori piccoli e grandi sassi? Orfani della madre che li ha generati,
hanno un vissuto straordinario, loro R08; testimoni di stravolgimenti geologici epocali,
come pure di sfumati sussurri umani. Stanno lungo l’argine di un fiume, ad ascoltare
le confidenze dell’acqua; nelle tasche curiose dei bambini; ai piedi di una cava,
testimoni della ferita impressa nei fianchi della montagna e di quella arrecata a se
stessa dall’umanità, dimentica ormai del suo fine ultimo; nelle mani dell’amico, che
te li dona sorridente, a memoria del suo ultimo viaggio. I sassi rotolano… e,
scivolando verso il basso, disgregano pareti di roccia, mutandone il profilo: nel
“panta rei” cosmico, sono eco vibrante della nonR08;permanenza, del divenire
continuo, eterno e necessario, sin’anche quando destabilizzante per i sistemi e
determinante epoche di crisi: mai dimenticare che la crisi, nel suo scricchiolare di
cuori impauriti, può essere una straordinaria opportunità di Cambiamento, Rinascita
e Progresso…
“Chi supera la crisi, supera se stesso, senza essere superato”
(Albert Einstein, 1930)
Rita Marziani
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