Un’accurata selezione degli “strappi” dai muri delle città di Roma, Milano e di Parigi, reinventati nei décollage, e in particolare delle icone cinematografiche di Cinecittà e di Hollywood dalla metà del Novecento.
Un grande evento caratterizzato dall’aspetto culturale in questa mostra personale del maestro della Pop Art, e rappresentante italiano del Nouveau Realisme, Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 - Milano 2006), tra i più apprezzati e richiesti artisti nel mercato internazionale. La mostra non vuole essere un’antologia, ma la proposta di un’accurata selezione degli “strappi” dai muri delle città di Roma, Milano e di Parigi, reinventati nei décollage, e in particolare delle icone cinematografiche di Cinecittà e di Hollywood dalla metà del Novecento, nella fascinazione subita dall’artista dai cartelloni pubblicitari. Un’appropriazione che è espressione di una ricerca oggettuale in cui erano coinvolti altri artisti importanti, come Robert Rauschenberg e Jim Dine, i francesi Raymond Hains e Arman, ma sarà anche una sorta di ribellione - ispirandosi alla più antica tradizione dell’Avanguardia Storica e, in particolare, al Dadaismo - subentrata dall’avvento dei nuovi media e dei volti degli attori quali immagini simbolo dei film.
All’inizio degli anni Cinquanta, al ritorno dal suo primo viaggio negli Stati Uniti, Rotella racconta che non voleva più dipingere. “Avevo studiato tutti i grandi, da Picasso a Matisse, da Mirò a Pollock. Pensavo: tutto è stato fatto, ormai. Poi una mattina, uscendo dal mio piccolo studio di Roma, vidi i muri della città tappezzati totalmente da questi manifesti strappati. Erano per lo più affissioni pubblicitarie e locandine di film americani. Avevano una forza enorme, dei colori meravigliosi”.
Seguiranno gli anni della dolce vita romana seguita dalla bohème parigina, dove risiederà per molti anni, e l’affrontare la vita e l’arte a gamba tesa. Nel 1958 l’incontro che gli cambierà la vita: conosce attraverso Giulio Turcato l’intellettuale Pierre Restany che gli parla degli artisti del Nouveaux Realistes e dei décollage di Raymond Hains, di Francois Dufrene, di Jacques Villeglé, già a lui vicini in un percorso di ricerca, tanto che poi il critico francese scriverà della sua opera come “immagini-forza uscite dai muri di Roma” che sono “dotate, rispetto al loro stato d’origine, di una super presenza demitizzante” diventate “più reali del mito che incarnano, più reali della realtà che rappresentano”.
Mimmo Rotella si soffermerà negli anni a venire sui modi di impadronirsi delle immagini (ma anche di oggetti trovati ai mercatini) per introdurre l’artefatto, in questa mostra il manifesto cinematografico, che ribalta in materia per l’arte: strappati e incollati uno sull’altro, e lacerati a lasciare immagini e titoli come risultato di un’attenta estetica senza comunque assoggettarsi ai codici commerciali. Perché le sue sono immagini tramutate in reinvenzioni che prendono dalla quotidianità, dalla strada come luogo di creatività, e rendono “strappi” stratificati dai desideri di un diario visivo comune alla gente qualunque: do ut des, in una metafora della vita liberata dal progresso e purificata dai prodotti di accrescimento civico. Così da questo rapporto la genesi delle azioni che vedranno Mimmo Rotella strappare i manifesti dai muri come “sola soddisfazione, l’unico mezzo per protestare contro una società che ha perso il gusto per il cambiamento e per le favolose trasformazioni”, scriveva.
Nel 1964 è invitato alla Biennale di Venezia e l’anno dopo alla Quadriennale di Roma. Nel 1970 partecipa al Festival del Nuovo Realismo a Milano, durante il quale interviene su un muro di manifesti lacerati in Piazza Formentini, insieme con Christo, Arman, César, Tinguely, Dufrêne, Raysse, Niki de Saint Phalle, Spoerri. Ormai Mimmo Rotella codifica una sua cifra stilistica personale e internazionale, un elemento d’identificazione, in un nuovo modo di interpretare spazio, colore e immagine andando con le sue lacerazioni oltre la pittura per addentrarsi nella storia, tra informale, gestualità, pop e neorealismo. Tra le sue ultime esposizioni è invitato nel 1994 al Guggenheim Museum di New York, poi nel 1996 al Museum of Contemporary Art di Los Angeles, dove porta tutta la sua personalità artistica tra cinema e letteratura fra opere uniche e multipli décollage.
Andrea Barretta
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