Una vita fra sentimenti forti di un sentire poetico, con le argomentazioni di una donna alla ricerca continua dell’armonia, nella natura, nei gesti, come per un direttore d’orchestra che sintetizza la conclusione di una composizione, magari di Messiaen, cui Montanari ha guardato e ascoltato nelle sue giornate in laboratorio, mentre il silenzio del torchio riportava alle sorgenti letterarie o finanche pittoriche che troviamo sovrastanti nei brani messiaeniani. Perché si lega appieno con la trasformazione causata dall’acido per un’acquaforte o una vernice molle, o con la granitura per una maniera nera, o una nuvola di bitume per un’acquatinta, in un corale canto di tecniche calcografiche che nelle sue mani sembrano note distribuite su una tastiera che ogni volta s’accinge a sfiorare come amalgama con l’opera d’arte. Perché esprime un habitat da far esistere sotto torchio, e ogni volta nuove scoperte, nuove sperimentazioni, così da lasciare un’impronta indelebile nel giudizio critico scegliendo modi e temi da rivelare in lavori seminali, sul foglio che è la meta e lo scopo finale nell’immagine impressa, nell’aspetto di paesaggi dell’anima in adesioni sentimentali.
Sono fatti, tendenze e strutture, suggestioni comparate con i caratteri del Novecento, tanto che basterebbe scorrere alcuni titoli dati alle incisioni per rendersi conto che già in essi troviamo una sorta di filo d’Arianna nel districarci tra segni come un manuale che descrive ricordi e fatiche tracciati nei solchi di lastre di zinco o di rame, di lacrime per risultati non ottimali, di gioia e riscatto nella poesia dell’attimo e il suo dopo che è ancora una volta arte. Il bello che deriva, diceva Kandinsky, “da una necessità psichica interiore”, perché “bello è ciò che interiormente è bello ... Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto, l’anima, il pianoforte con molte corde” e l’artista “è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima”.
Il rimando possibile, dunque, è a quel giorno ormai lontano in cui ha avuto la sensazione di sentire da qualche parte dentro di sé quel richiamo all’arte e ritrovarsi sulla strada di un maestro urbinate qual era Luigi Corsini, e capire di seguire i suoi corsi d’incisione, perché la calcografia sarebbe stata la sua realizzazione, il viatico per realizzare i suoi sogni. Sarà, infatti, come una scrittura per fogli in cartelle che per lei sono “libri” che ha sempre voluto scrivere, perché ogni insieme di incisioni è quasi un carteggio con se stessa, un diario per qualcosa da affrontare o da indagare, o meglio, una specie di cronaca rappresentata dove tutto è possibile. E se il lato immateriale ispira il tripudio da cogliere nelle piccole cose, alla sola poetica potremmo aggiungere le voci cui affidare le parole di una necessità vitale che sembra essere un’immagine dell’arte di Giuliana Montanari.
Nata a Faenza in provincia di Ravenna, arriva a Brescia nel 1948 e si laurea a Milano in Materie Letterarie nel 1963. Ha insegnato italiano, latino e storia, e dal 1985 al 1990 Tecniche calcografiche presso la scuola d’arte dell’Associazione artisti bresciani. Ha, insomma, lasciato una cattedra di lettere, compiendo una drastica e non facile scelta, per dedicarsi all’arte, e saranno anni di duro e tenace lavoro in cui però raccoglie i primi giudizi favorevoli della critica e del pubblico. Fa ogni cosa da sé: studio, analisi delle diverse tecniche, scelta ed impasto dei colori e degli inchiostri, ricerca delle carte ed infine stampa manuale al torchio. Resta sempre più affascinata da questo “mezzo” che le permette di esprimere idee ben definite, e s’impegna su lastre che scarnifica fino all’essenziale di un’avanguardia che già volgeva alla sperimentazione, affermando nei primi lavori del 1973 il suo rapporto con la natura tra realtà e astrazione, tra informale e ciò che più l’avvicinava all’idea della bellezza a partire dal bello interiore, iniziando a costruire una sua grammatica estetica che diverrà stile. E la immaginiamo a combinare modus operandi mischiati in concetti e conoscenze, come inchiostri sulle lastre, come esperienze differenti ma che formulano emozioni evocative riconducibili a un confronto straordinario intellettuale fra creatività e progettualità. Infatti, l’arte incisoria della Montanari è cresciuta molto in questi anni nella sua interrogazione umana, stupita e dolorosa, proprio nello
spiare fluidità, magmi, coaguli e improvvise trasparenze della vita, sentita come sostanza organica e respiro luminoso. “ (…)
Dal testo critico di Andrea Barretta
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