Ed. ab/arte, 2014, pp. 176 (Collana Saggi)
Com’è possibile che in Italia, la patria della bellezza da sempre, si possa convivere con la bruttezza in un disinteresse collettivo? Qui troverai alcune risposte, ma se l’arte non ti dà né piacere né dispiacere, se non provi una vertigine in una cattedrale gotica e davanti a un dipinto di Rothko continui a credere che la “spiritualità” sia solo un’espressione religiosa, se per te conoscenza ed esistenza non hanno nulla in comune con l’estetica e senti indifferenza davanti alla “Pietà” di Michelangelo mentre ti diverte quella di Fabre, se hai solo certezze e nessun dubbio, se per te Duchamp è stato un furbetto del quartiere e Beuys l’esempio che tutti possono fare arte … non leggere questo libro, annota in prima pagina il giornalista e scrittore Andrea Barretta.
Poi in seguito Barretta spiega, rivolgendosi al lettore, che se decide di andare avanti, vorrà dire che non tutto è perduto, e che c’è quell’empatia con l’arte per assorbirne l’inconsistenza nella mancanza della “luce” che consegna il buio e occlude ogni via d’uscita. Poi, la scommessa di arrivare all’ultima pagina per allontanarsi da quella mimesi che uccide l’immateriale e non consente di salvarsi da brutti edifici e monumenti che assediano la nostra esistenza, dalle lordure che sovrastano in ogni dove, nelle strade, nelle piazze, nei giardini, costretti ogni giorno ad allontanare il lezzo dal vicolo dell’ignavia per tornare a casa a pane e acqua nel rimanere digiuni d’arte.
L’autore, dunque, si mostra dubbioso con il contemporaneo, e va per binomi, come etica ed estetica, immanente e trascendente, indecisione e scelta, arte e affari, tradizione e novità, arte e filosofia, e anzitutto arte e non arte. Con questo cerca di capire perché l’Italia, il paese della bellezza, abbia tradito un’eredità che ha reso la società nichilista sul piano formale, in una rincorsa esistenziale contaminata dal soggettivismo, ed è caustico con i dissacratori che disonorano la bellezza. L’analisi in questo saggio è per un’arte che ha creato un sistema dove non è più elemento centrale, in una generazione che stenografa idee altrui, né rinnovatori né pionieri ma epigoni: immagine che vuole convincerci di una metamorfosi dovuta, mentre è solo espressione mercantile della società che sembra non riconoscere più l’arte e la bellezza, ma il contrario. Attraverso dichiarazioni ferme e puntualizzazioni necessarie queste pagine sono dominate dalla visione critica verso il destino dell’artista, né trasgressore né provocatore, in una umanità distolta dal suo contesto ideale. Nello svelare la mistificazione, allora, Andrea Barretta argomenta la smitizzazione dell’arte in effetti caleidoscopici, caravanserraglio in cui tutto è possibile, anche la domanda: “Questo lo potevo fare anch’io, … ma è arte?”.
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