Realismo e simbolismo nella pittura d’espressione
Mostre, Brescia, 25 October 2014
A cura di Andrea Barretta
Allestimento di Riccardo Prevosti

Pietro Agnetti, Piero Albizzati, Luigi Bisotti, Leo Borghi, Eugen Ciuca, Vittorio Maria Di Carlo, Eliano Fantuzzi, Vittorio Felisati, Corrado Fergnani, Piero Gauli, Fathi Hassan, Renzo Margonari, Pippo Oriani, Lorenzo Palazzi, Riccardo Schweizer, Domenico Seren Gay, Roland Tapì, Mario Vergani.

Il realismo come idea di ricerca e il simbolismo come rappresentazione stilistica nella pittura d’espressione dell’atto di comunicare ad altri quanto si sente, richiamano l’immagine di elementi della percezione sensoriale o di forme allusive nella sintesi che racchiude contenuti essenziali nell’opposizione tra figurazioni provenienti dalla diretta analisi del vero e la misura della visione interiore attraverso i modi dell’idea.
Senza risalire al Manifesto del Simbolismo del poeta Jean Moréas (1886), dove si spiega l’operare dell’artista che si muove nel visibile per ritrarre l’invisibile della realtà allo scopo di evidenziarne altri lineamenti, né riandare al cosiddetto Manifesto del realismo (1946) più conosciuto come “Oltre Guernica”, in cui s’indicava che “la realtà non è il reale”, la mostra intende restare nell’esame obiettivo di un tempo ideale, rivolgendosi a un pubblico che sia sensibile a evocare piuttosto che a cercare corrispondenze tra oggettivo e soggettivo, tra esplicito e implicito.
Se in quegli anni si affermava che “realismo” non vuol dire naturalismo o verismo o espressionismo, “ma il reale concretizzato dell’uno, quando determina, partecipa, coincide ed equivale con il reale degli altri, quando diventa, insomma, misura comune rispetto alla realtà stessa”, l’esposizione alla Galleria ab/arte invita a lasciarsi catturare dalle sensazioni dei “paesaggi”, oltre il pensiero che rimembra in quello di Mario Vergani o come per quello di Corrado Fergnani nei colori e nelle luci della mimesi, oppure tra gli alberi di un bosco onirico dipinto da Piero Albizzati o lasciarsi trasportare dalle “vele” di Domenico Seren Gay in un mare immaginario. I riferimenti, allora, seppure a volte complessi, saranno concetti connessi tra arte realista e arte figurativa, arte platonica e arte spirituale, tra l’assunzione dell’io e il mistero dell’anima, che sono processuali ben oltre il loro inizio in “movimenti” che hanno interessato l’Europa. Di riflesso, però, la funzione anticlassicista ha assorbito l’assunto concreto di un pensiero che in sostanza va (e ritorna) all’apparenza, non solo con riferimento alla tecnica o alla metodologia di una maniera teorizzatrice dell’attività artistica ma nella critica con la cultura contemporanea del “vero reale” come suggeritore del bello e del sublime nel rapporto tra un’arte realista e un’arte visionaria.
La rassegna, dunque, intende accostare la pittura d’espressione, colta e intellettuale, nell’eversione delle avanguardie di fronte alla creatività che pone un’inversione di tendenza rispetto al naturalismo e alle ricerche artistiche del Novecento. E l’orizzonte culturale è l’approccio a temi e soggetti che attivano uno straordinario dinamismo a trasmettere mediante l’arte i moti interiori dello spirito, nel momento dell’incontro nella materia pittorica e nel ruolo della tradizione attorno alla modernità che non predilige, ma neanche abbandona, la “figura” che nella mostra è esibita da Luigi Bisotti e Piero Gauli (già nel 1948 alla Biennale di Venezia), e dal soggetto che si fa evanescente in Eliano Fantuzzi, puramente traccia in Eugen Ciuca e nuova figurazione in Vittorio Maria Di Carlo.
Non solo sperimentazione, dunque, ma realismo e simbolismo percepibili nella scomposizione e ricomposizione della “Natura morta” di Pippo Oriani e la sua pittura influenzata dal futurismo e dal cubismo (già nel 1938 era all’Expo di Torino), fino all’assieme di pennellate per un mare in tempesta di Piero Agnetti. C’è, inoltre, la diversione rispetto al contenuto dialettico verso una parabola che si apre all’universo fiabesco di Roland Tapì, a segnare il contrasto della raffigurazione iconica, nella sintonia colorista di un “mercato” assolato descritto da Lorenzo Palazzi, attualizzandone la dimostrazione più viva, o nella serenità e nella pace di un canale veneziano di Vittorio Felisati, riflesse in tinte morbide e calde.
Poi, il percorso della mostra va anche in una pittura che si propone di esplorare le suggestioni nell’avvincente e personale predisposizione all’emozione, nell’empatia e nella sintonia con l’armonia, nel saper trascendere e distanziarsi da quell’arte abusata che ha rotto canoni ed equilibri in “cose” sfuggenti e strane, che vorrebbero scoraggiare questi sentimenti, benché - scrive Erich Fromm - “senza dubbio il pensiero creativo, come ogni altra attività creativa, sia inseparabilmente legato alle emozioni”, ed “essere emotivo è diventato sinonimo di instabile e squilibrato”.
Ecco, allora, che all’interno di questo contesto, realismo e simbolismo offrono la sinergia entro opere che conducono alla manifestazione del turbamento, in uno spazio preliminare creato da un inno alla diversa natura disegnata come epifania creatrice, come forza identificabile nell’originalità e, soprattutto, dall’ascolto “sensibile” che si fa esperienza, perché la bellezza da cogliere è principalmente in noi, perché il fine dell’arte non è stimolare sentimenti, ma l’universalità di un medium tra quanto osserviamo e i significati di una narrazione descrittiva e interpretativa.
E’ questa la dimensione che metterà in contatto con l’arte, con la possibilità di approfondirne l’aspetto attivo e non passivo della “conoscenza”, in virtù di una riformulazione dell’arte che sia rivelazione simbolica di un’unica realtà, come nelle tonalità e negli accostamenti cromatici di Renzo Margonari che prospetta l’immaginario e il fantastico surreale, così come per il senso esistenziale di Piero Albizzati nel sovvertire piani semantici. Fino all’affermarsi di un insieme artistico non conformista ma poetico, nella “coscienza della specificità”, ha scritto Vittorio Sgarbi per Riccardo Schweizer, proposto in mostra con un’importante opera dalla vibrante corporeità, o nella capacità di Angelo De Bortoli di far vedere più punti focali. Infine, il silenzio. Entriamo nel “Contenitore di memoria” di Fathi Hassan, e il deserto diventa simbolo nei granelli di sabbia che formano arabeschi sulla tela che accompagnano verso arcaici linguaggi.
Ora, l’approdo in questa pittura d’espressione sarà introspettivo nella libertà illuminata dal nostro essere in una storia, quella di un’arte oltre il fluire di ordini e divisioni o appartenenze, costituita da artisti che non presentano l’impresentabile di tanta arte contemporanea ma l’onestà che appartiene a loro e a tutti noi pur nella libertà d’espressione e in una riflessione critica. Solo così l’opera d’arte può acquisire la sua necessaria autonomia.
Andrea Barretta

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