Il suo percorso appare come un errare quasi inquieto attraverso frammenti di mondo e si afferra l’immediatezza con la quale l’artista lascia che l’esterno si manifesti. L’attenzione è rivolta verso l’inanimato che, tuttavia, risulta essere talmente personale da raccontare un sentire.
Allora l’oggetto diviene emozione. E questo la Sgrò l’ha capito da tempo. Ha capito che lasciare che lo spettatore diventi il suo essere spettatrice, muove il filo comune dello sguardo e permette di indagare il mondo emozionale proprio dell’artista.
Così la prospettiva, piuttosto che il colore, le pennellate, creano la direzionalità dell’attenzione, di quel particolare apparentemente insignificante, capace di trasmettere una strana percezione. Un nodo all’anima che si scioglie con la fiducia.
Perché per comprendere la poetica della Sgrò occorre lasciarsi condurre in una chiesa e osservare, dai suoi occhi, un mistico chiaroscuro materico, percependone appena l’architettura dell’altare.
Bisogna curvare su una strada veloce, con la sua stessa ansia di raggiungere, per tempo, un altro luogo.
Serve fermarsi sul ciglio di una porta per osservare due oggetti illuminati in modo preciso, come attori di un palcoscenico.
Per avere gli occhi giusti bisogna restare a guardare ciò che la Sgrò ha visto per prima, per poi repentinamente sparire. Donando alla materia un significante connotativo ed un significato emozionale.
Margherita Matera
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