Lorenzo Canova.
Quale mistero si nasconde in una materia che nella sua essenza densa e porosa, nelle sue rugosità, nelle sue asprezze e nella sua pesantezza si trasforma in una sostanza luminosa e leggera, in un’aria e in una trasparenza paradossalmente fondate su un corpo fatto di terre e di pietra sminuzzata?
Manovella lavora da tempo su questo mistero che rappresenta uno dei cardini della sua poetica in cui la natura minerale e ruvida delle cose vuole sollevarsi dal fardello che le lega al suolo per raggiungere una condizione aeriforme in cui la gravità si annulla per raggiungere uno nuovo stadio di sublimazione.
Manovella sa bene che la pittura rappresenta uno dei tramiti creativi più forti per dare forma a questo ossimoro dove un mondo opaco e gravoso subisce una metamorfosi fantastica attraverso la ricostruzione operata dall’artista. Nello sguardo di Manovella, infatti, ogni cosa si fa levitante e sospesa e si rischiara di una luce speciale, più emanata che ricevuta, che colma e misura le distanze trasferendole in una dimensione allo stesso tempo plausibile e irreale dove la presenza umana assume un senso particolare posto a metà tra le dinamiche profonde e sfuggenti del sogno e la necessità di ribadire lo spessore fisico di opere allo stesso tempo statiche nella loro asserzione metaforica e dinamiche nella loro struttura narrativa.
In questo senso l’uso di materiali extrapittorici usati per comporre corpi fatti di tessuto o per creare abiti che vestono in modo concreto e tangibile le figure rafforza il valore tattile di questa pittura, la sua volontà di usare il linguaggio della vita e del reale per rappresentare le visioni di un immaginario che compone un universo parallelo dalle meccaniche solo apparentemente inverosimili ma in realtà fondate su un ma sistema di regole inventate ma al contempo rigorose sul quale il pittore basa le coordinate assurde e plausibili della costruzione spaziale dei suoi quadri.
Con la sua accurata e sapiente disposizione di particolari dipinti talvolta in modo a prima vista quasi trascurato e rapido e talvolta in modo molto rigoroso e severamente fedele al “vero”, Manovella dà forma alla sua realtà personale dove le cose e le persone si liberano dai gravami della vita quotidiana all’interno di una narrazione dove accadono eventi inauditi e favolosi, dove gli oggetti prendono vita e gli animali possono dialogare con gli uomini o con gli arcobaleni che sorgono da una scatola che riesce a contenere il cielo e i pianeti all’interno delle sue microscopiche pareti. Nel candore del fondo lattiginoso tutto si muove come nell’armonia siderale di un firmamento ignoto, il sole e la luna si riducono a due giocattoli che possono ricordare i palloncini scelti spesso dall’artista per sottolineare allusivamente la sua aspirazione costante verso l’alto, le teste e le gambe si slegano dai corpi assumendo una vita propria e una nuova presenza all’interno della tessitura compositiva dei dipinti.
In queste opere, dunque, tutto perde misteriosamente peso con una grazia sottile con cui Manovella rende lievi addirittura i corpi grevi e tozzi di pugili che si sollevano docili come aquiloni ed eloquentemente quello che appare più pesante, in questo mondo dai canoni ribaltati, è l’enorme colibrì posato sulla testa di un uomo usato quasi come un cavallo da soma. Nelle trasformazioni costruite dall’arte fiorisce quindi una natura ibrida e mutante, in una fusione tra piante, animali e uomini dove gli archetipi dei miti e delle favole appaiono rigenerati attraverso i meccanismi enigmatici di una metamorfosi scaturita da una fervida libertà creativa e da una visionarietà che si rinnova costantemente nel segno di una perenne trasformazione e rigenerazione.
Negli spazi accennati e poi negati di un interno senza prospettiva che diventa foresta, monte o cielo stellato, dove le ragazze nude si posano sui fiori come fate di mezza estate e dove i pianoforti si mutano in uccelli per dare più dolcezza al loro canto, Manovella compone elegie che cantano un mondo sognato e irraggiungibile, i territori fiabeschi collocati oltre lo specchio, nello spazio lucente del simbolo dove la terra pesante si fa luce e dove grazie all’arte gli uomini indossano ali di farfalla per superare i loro limiti, per aprire un varco luminoso nella densa e opaca coltre delle apparenze e per ritrovare infine il profumo e il senso dell’essenza leggera del mondo.
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