Il titolo nasce dalla location, sede inusuale per il mondo culturale e artistico locale, ma anche da precipue caratteristiche del pensare e fare pittorico dei due artisti.
Non sarà necessario che lo spettatore sia dotato di un occhio esperto affinché noti l’immediata differenza tra l’opera di Vito Campanelli e il lavoro di Anna Rita Cacciatore; apparentemente il solo linguaggio astratto sembra accomunarli.
Vito Campanelli, una vita intera dedicata alla pittura è sempre rimasto fedele a questo linguaggio e nei rari casi in cui ha approcciato il linguaggio figurativo ha trasformato l’oggettivo in soggettivo, in percezione liquida del presente, del momento vissuto con abbaglianti, violenti contrasti di colore.
Anna Rita Cacciatore fa un percorso diverso: il vago figurativismo da cui inizia offre ancora spunti oggettivi e rende riconoscibile nella natura la forza prima dell’ispirazione. Il visibile non è, tuttavia, ciò che interessa Cacciatore e il dipanarsi di trame di colore e fili di luce ci indica la sua tensione verso l’oltre. Dietro l’abito, dietro la pelle, c’è altro: strutture visibili al microscopio, all’occhio che indaga curioso, senza l’intento di scandagliare, ma di cercare i legami sotterranei di questo universo.
Fuori scena non è un titolo nato dal caso, ma dal fatto che sul palco, palesi agli occhi di chi si sa soffermare c’è un mondo che la normalità mantiene segreto. Se questo mondo per Cacciatore è costituito da nastri armonici di colore, che hanno la leggerezza onirica delle bolle di sapone, è, invece per Campanelli formato da campiture piene, consistenti, animate da squarci di luce, lampi di bianco, esplosioni di rosso, sgocciolature delicate, grafismi estremi.
Quello di Campanelli è un fuori scena diverso che si inabissa nella profondità dei mari, che non teme di scottarsi nelle fauci del vulcano, ma ne cerca il magma. La sua è una pittura nata dal momento, nata dall’istinto: è la testimonianza del viaggio di chi risale dal fondo, dalle sabbie, dal fuoco. I detriti restano dentro il corpo e la mano, schiava del gesto incostante che non sa dove andare, ha il compito di tirare fuori dalle viscere la fatica della profondità. La pittura è catarsi.
Fuori scena è una mostra che pone in bilancio due modi di sentire il mondo e di percepire la propria esistenza in esso. Se per Campanelli il viaggio e il gesto quasi coincidono in una estrema urgenza, in una voracità veloce, al contrario per Cacciatore dipingere è conservare la memoria del tempo. Georgia O’ Keeffe, il cui vocabolario di geometrie multicolore è richiamato agli occhi di chi osserva le opere di Cacciatore, diceva: “Nessuno vede un fiore realmente, è così piccolo. Non abbiamo tempo, e guardare richiede tempo, come avere un amico richiede tempo”. Per Cacciatore, osservatrice lenta del modo, dipingere è come scrivere un diario, nel tentativo di pacificare e di esprimere il sé rapportato agli eventi e alla contingenza. Per entrambi gli artisti dipingere è un atto di metabolizzazione, ma anche di fiducia: all’opera sono affidati i segreti, sono affidate le turbolenze dell’anima, inesplicabili all’intelletto, indicibili dalla bocca.
In questa mostra due estremi trovano un equilibrio e si risolvono nello spirito vitale dell’erotismo e della sensualità. Da un lato, espressi dalla virilità di Campanelli, massiccia, terrestre, dall’altro dal fascio di nervi che dice donna, di Cacciatore, che aspira al volo nei cieli.
La bellezza è il risultato ultimo che accomunano questi artisti: fuggevole e misteriosa come la vita, potente come un istinto o delicata come una memoria sfuocata.
Testo critico di Simona Scopelliti
Orari: 10-12 / 16-19
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