Il lavoro dei due giovani artisti nati e cresciuti in luoghi distanti, trova contatto nell’utilizzo “favolesco” che entrambi fanno della condizione femminile, con il punto di vista che, passando da Napoli a Brooklyn, naturalmente si sposta dall’esterno verso l’interno. Come la favola utilizza gli animali per raccontare l’umano così il lavoro dei due artisti, che pure fa largo ricorso a personaggi provenienti dal secondo regno della natura, utilizza la donna come dispositivo metaforico di se stessa. Il risultato è uno spietato affresco sull’improduttività di anni di battaglie femministe che sembrano non essere approdate a nulla.
Nel lavoro di Angelo Volpe le “donnine” si incollano su fondali trompe l’oeil, come elementi aggiunti per addobbare la scena in un curioso confronto di ruolo tra soggetto e sfondo. Le protagoniste degli oli su tela di Volpe giocano con animali e personaggi prelevati dalla fantasia infantile, che paradossalmente sembrano più veri e “umani” di loro stesse. Con teste spropositatamente grandi che rimandano al mondo dei manga ma anche ad alcune bambole di oggi, e occhi di plastificata vacuità queste “donne prodotto” ci appaiono estremamente seducenti sebbene le loro pose siano dichiaratamente artificiose e forse proprio perché, ad un secondo sguardo, il ruolo da esse ricoperto non è più importante di quello “impersonato” dall’immancabile accessorio di moda che accompagnano.
Inseguendo con gli occhi il groviglio di esseri che prende forma nei lavori di Gina Triplett si può rischiare di cadere vittime di labirintite. Ed in effetti appare vana impresa quella di cercare un filo di Arianna nel marasma di mostri, metamorfosi, incesti e Wonderwomen che prende forma nell’inquietante mente dell’artista e si sostanzia nei suoi lavori su carta e su tela. L’unico punto fisso appare essere l’incredibile senso di smarrimento del suo essere donna oggi, un’alice sperduta in un paese di angosce e paure, senza vie di fuga.
Coerentemente con il modus operandi postomodernista lo stile dei due artisti apre posizioni debitorie nei confronti di più ambiti dell’industria culturale: dal fumetto al linguaggio pubblicitario utilizzati da Volpe all’aspetto decorativo e “grafico” di alcuni lavori della Triplett.
Le ricerche e le pulsioni di questi due artisti, pur partendo da orizzonti cardinali diametralmente opposti, sembrano approdare ad unico agghiacciante risultato stampato a caratteri cubitali sul certificato di morte del femminismo: la donna ha di nuovo smarrito la strada.
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