Testi e motivazioni per le selezioni del comitato di selezione
Andrea Bruciati - Curatore della X Edizione Premio Celeste 2013
Networking, trasparenza nella selezione dei giurati e giudizio finale degli artisti: caratteristiche metodologiche che mi hanno affascinato del Premio Celeste, certamente un unicum nel panorama nazionale.Ho sempre creduto infatti nella realizzazione di una piattaforma per la comunicazione e trasmissione dei dati, ho sempre pensato che solo in questo modo vi potesse essere un innalzamento del livello delle opere e un riconoscimento ‘reale’ di qualità, non meramente arbitrario. I Premi possono infatti rappresentare momenti importanti nel percorso di un artista perché richiedono una qualità molto rara fra gli aspiranti, e cioè il porsi in maniera critica nei confronti del proprio lavoro, esponendolo al giudizio di professionisti. Oltre all’intelligenza e alla passione, ritengo fondamentali qualità come umiltà e caparbietà e credo non possa sussistere futuro se non sono accompagnate da una grande capacità di autoanalisi in riferimento alle proprie qualità e limiti. Mai essere auto indulgenti mentre credo fermamente che il porsi in discussione sia una prerogativa umana imprescindibile per chi crede nella ricerca, nell’innovazione linguistica e per chi avverte i mutamenti e le temperie di un momento storico così difficile e così complesso ma ricco di potenzialità. Un Premio come una sfida pertanto e come tale ritengo che questa edizione si sia connotata e su questi parametri deve essere inteso il giudizio che è stato formulato.
Per quanto concerne la selezione effettuata, ho voluto dare risalto a quei linguaggi che ritengo laterali, meno indagati, provinciali se vogliamo nel senso positivo del termine, di innesto non convenzionale, attivo e consapevole in determinate radici culturali. Ho visionato l’intero corpus e devo ammettere le molte delusioni ricevute da almeno il 75% dei partecipanti, deducendo pertanto come la strada per qualificare e professionalizzare questo campo sia ancora impervia e faticosa. Grazie alle opportunità di rete del Premio Celeste, questo non rappresenta necessariamente sconfitta ma costituisce invece stimolo vivificante per mettersi in gioco; per tutti. Ritengo che questa esperienza sia stata una opportunità curiosa e condivisa anche dai miei colleghi che, attraverso uno scouting rigoroso, hanno a loro volta scoperto autori altrimenti di difficile accesso; perché il lato positivo di questa piattaforma risiede anche nella capacità di attrarre probabilmente artisti meno estroversi, più defilati rispetto alle platee internazionali ma non per questo meno convincenti. Parafrasando asserzioni evangeliche, credo che se questa iniziativa ha fatto scoprire anche un solo artista, ritengo che lo sforzo per il lavoro fatto sia stato di per se già sufficiente. Di certo ci sono state fin da subito delle questioni da redimere, fin da subito per tutti: c’era da interpretare l’approccio e un parametro di giudizio da evidenziare e sui criteri da adottare, fra cui quello semplice ed elementare in un Premio: voto l’opera in concorso o anche il corpus dell’artista? Dilemma apparentemente puerile ma che nasconde un deficit di organizzazione e professionalità evidente ancora in molti autori, soprattutto alle prime esperienze. Ulteriore quesito: la mia segnalazione potrà essere d’aiuto e incoraggiare un artista nella sua strada o semplicemente verrà letta come conferma passiva di un livello buono e pertanto non fungerà da ulteriore stimolo? Voglio anche io dire la mia e pertanto, se fossi stato fra i giurati, avrei rivolto la mia attenzione ad autori che non hanno avuto un plateale riconoscimento (almeno nelle due sezioni più numerose) e quindi a figure come: Matteo Beltrami, Niccolò Bruno, Luca De Angelis, Anna Gramaccia, Riccardo Muratori per la pittura; Matteo Cirenei, Carlo Fiele, Giampiero Marcocci, Silvia Mariotti, Mirco Sirotti per la fotografia e grafica; Giorgio Guidi, Rebecca Moccia per la scultura e l’installazione.
Altre considerazioni: per quanto riguarda la fase ‘democratica’ finale, devo dire che trovo una sottile ma per me piacevole perversione antropologica nel vedere artisti che giudicano i colleghi. Per una volta gli artisti meno avveduti capiranno il ruolo non certo semplice del curatore, del selezionatore e dell’immane responsabilità che questo comporta. Pertanto questa caratteristica del Premio Celeste, pur essendo la più anarchica ed imprevedibile, sarà di certo la più affascinante per un insieme di concause e riflessioni che avranno luogo dalla premiazione. A questo, e non è da poco a mio avviso, si aggiunge il fatto che la valutazione sarà per la prima e ultima volta, sensoriale, fisica, concreta, molto diversa da quella realizzata da me e dai giurati, che ci dovevamo accontentare della resa retinica, virtuale del lavoro presentato, avvalorando l’immagine come un vettore di giudizio. In fondo una giusta rivalsa dell’opera fisica alla riproduzione dell’immagine, immagine che invece ha gettato criticamente nello sconforto proprio la sezione fotografia del Premio, dove non è stato facile, al contrario delle aspettative, evincere i dieci finalisti. Una sorta di vendetta della riproduzione fotografica sulla fotografia, dell’immagine sullo scatto? Fatto sta che è il medium che più soffre in questo oceano virtuale e dell’universo democratico targato facebook: per assurdo la pletora di immagini fa sì che vi sia più assuefazione e disincanto proprio nelle opere fotografiche…
Forse, e questo è un ulteriore motivo importante di riflessione, le istanze demagogiche che vogliono standardizzare dal basso la pretesa artisticità delle proposte (voce spesso insistente sul web) non bastano o non sono sufficienti a decretare la qualità, se non il successo di un’opera, e in seconda istanza dà ragione al perché di un Premio e alla sua specifica ragion d’essere.
Simone Ciglia
Le mie scelte nel campo della pittura si sono orientate verso artisti con una sensibilità contigua, che si potrebbe definire latamente espressionista: Lorenzo Aceto, Paola Angelini e Luca De Angelis articolano, ciascuno con una cifra propria, un’attenzione nei confronti del fare pittorico che s’incentra sugli aspetti della materia e della gestualità. Questo a dispetto della gamma differenziata di soggetti, provenienti da fonti altrettanto disparate: il referente fotografico per Aceto; un processo di stratificazione iconica per Angelini; immagini trovate sul web per De Angelis. Una simile capacità di rileggere con rispettosa originalità la tradizione del medium pittorico emerge anche nel lavoro di Riccardo Muratori, che sceglie un’opzione nettamente figurativa di marca metafisica. All’opposto la pittura di Rashid Urì s’iscrive nel campo dell’astrazione, e in essa s’incontrano il rigore della componente analitica e l’amore per la sensualità della superficie.
La sezione “Foto e grafica digitale” testimonia della pluralità di accezioni del mezzo fotografico in campo artistico. Queste vanno dalla pura documentazione di una performance (seppure non priva di tensione estetica), come per Simona Barzaghi, alla creazione di un’immagine di fantasia, come nel caso di Foto Marvellini, la cui opera si distingue per un’ingegnosa ironia, abile nel mischiare alto e basso attraverso un’operazione di alta artigianalità. Nel mezzo di questo spettro si situa la fotografia di Silvia Mariotti, in grado di creare un’immagine elusiva in maniera formalmente incisiva, e quella di Jacqueline Tune, il cui sguardo ci restituisce con icasticità il mondo nuovo delle tecnologie.
Nella sezione “Video e animazione” Andrea Bianconi stupisce per la potenza del risultato ottenuta con un’estrema economia di mezzi. Una simile radicalità è testimoniata anche dal video fulminante di Lorenzo Morri. Nicola Gobbetto dimostra la capacità di raccontare una fiaba con i nuovi mezzi tecnologici senza perdere la poesia. Flaviano Esposito insegna a guardare la realtà con occhi diversi, svelando la legge geometrico-matematica che governa l’universo. Il racconto storico è svolto con un approccio documentaristico nel video di Thunderground production.
Le strategie concettuali continuano a dimostrarsi tuttora valide anche per gli artisti delle nuove generazioni, come testimoniano alcune delle opere all’interno della sezione “Installazione, scultura & performance”. Si tratta di un concettualismo portato all’esasperazione, innestato d’ironia come nel lavoro di Francesco Cagnin, o ancora insufflato di poesia come per Sebastian Contreras. L’interesse per la smaterializzazione dell’opera è presente pure nel progetto di Dario Lazzaretto, aggiornato alle più recenti pratiche relazionali. Di particolare interesse si è rivelata l’opera di Elena Mazzi, con l’inedita applicazione di tecniche di restauro all’interno di un fare contemporaneo, il tutto sorretto da una tensione civile; coltiva invece una vena lirica Elisabetta Falanga.
Eva Comuzzi
Ho scelto, per la maggior parte dei casi, in base all'impatto emotivo e alla curiosità che le immagini mi hanno trasmesso. Ho selezionato cercando di non leggere nemmeno i nomi e le sinossi ed evitando, tranne quando ero combattuta, di vedere gli altri lavori realizzati.Così come avviene ad una mostra, in cui vieni catturato da un'opera perchè in grado di muovere e smuovere qualcosa dentro te in modo immediato e profondo. Quasi sempre però quando bisogna scegliere, il senso della responsabilità ti porta a fermarti un attimo. A farti riflettere maggiormente, a chiederti se c'è altro oltre a quel primo colpo di fulmine. A valutare e confrontare, ma anche ad essere coerente con il percorso che hai fatto, onesto con gli artisti che segui e dei quali sostieni il lavoro da un tempo maggiore.
Nella selezione di Andrea Bruciati ce n'erano diversi appartenenti a questa categoria.
Ve n'erano altrettanti però, che non ho ancora avuto occasione di vedere dal vivo, che mi hanno immediatamente colpita e dai quali sono stata catturata per la forza che hanno saputo dare a forme semplici ed essenziali. Mi riferisco a Erica Bellan per la sezione video, Sebastian Contreras e, in particolar modo, a Francesco Cagnin per le installazioni, nei quali ho intravisto delle stimolanti riflessioni su un nuovo concetto di monumentalità. Nella sezione pittura sono stata sedotta dall'eleganza delle sfumature e dalla malinconia dei volti di Giorgio Pignotti, che con grande delicatezza ha saputo rivelare l'espressione psicologico-caratteriale del volto di ciascun personaggio. Procedendo il mio percorso in terreni ancora sconosciuti, nella fotografia sono emersi i lavori di Stefano Canotti, del quale ho apprezzato la capacità di trasmettere un senso di tensione attraverso la costruzione di una calma ed una perfezione apparenti. Virginia Bettoja mi ha colpito per l'improvvisazione e spontaneità del suo scatto e per la riflessione che ne emerge sull'importanza che armonia ed equilibrio hanno nelle relazioni dell'uomo, siano esse in rapporto con lo spazio, che con le altre specie viventi, mentre di Giampiero Marcocci mi ha affascinato l'effetto pittorico e consunto delle sue nuvole, che riportano ad un senso del misticismo appartenente a tempi oramai perduti. Ho trovato inquietanti e al contempo seduttivi i misteriosi personaggi di due autori che già conoscevo: Silvia Mariotti e Foto Marvellini, che conducono a spazi e tempi indefinibili e per questo motivo spiazzanti e stimolanti. Spostandomi nella sezione video e in terreni oramai familiari, Riccardo Giacconi mi ha affascinato per la forza dell'assenza e le modalità con le quali ha saputo riflettere su ricordo, linguaggio e sulla trasposizione di essi, mentre di Nicola Gobbetto, oltre all'attenta costruzione scenografica e all'immediatezza che ha saputo dare al messaggio, ne apprezzo l'estetica visionario-favolistica della sua produzione. Della pittrice Paola Angelini mi ammaliano l'assenza di limite e la libertà espressiva che percepisco nel suo fare - quasi non avesse mai paura del pericolo -, nonché i magistrali bilanciamenti di peso che sa attribuire a forma e colore. Adriana Iaconcig, per la sezione installazione, l'ho scelta per la capacità con la quale ha saputo riflettere in modo sentimentale, ma discreto, sui ricordi d'infanzia, dove memorie passate e presenti si fanno sovrapponibili ed intercambiabili, per annullarsi e divenire nuovo terreno sul quale immaginare e costruire. Infine, ma non da ultimi, ci sono gli artisti con cui ho avuto il piacere di lavorare e che compaiono pertanto nella mia lista, per evidenziarne, ancora una volta, la mia stima e sostegno nei loro confronti, nonché l'interesse e curiosità che continuano sempre a suscitarmi. Loro sono: Dario Pecoraro, Gino Blanc e Niccolò Bruno, per quanto concerne la pittura; Nicola Ruben Montini, e Lorenzo Morri, per il video; Ryts Monet e Giorgio Guidi per l'installazione. Di Dario Pecoraro e nello specifico di Fukui, mi affascina il senso di mistero che avvolge i personaggi o le cose, resi sempre indefinibili da una penombra catramosa, dalle cui fessure fuoriescono colori cangianti di una luminosità abbacinante. Gino Blanc spiazza per la libertà espressiva e la versalità, che lo portano a sperimentare in modo incosciente e spontaneo tecniche e tematiche differenti, ponendo in perfetto equilibrio armonia e caoticità, mentre di Nicolò Bruno amo la raffinatezza del segno e la poeticità e delicatezza con cui sa leggere e riscrivere la storia e le storie. Nicola Ruben Montini mi colpisce per il coraggio con cui affronta la storia della performance e la riattualizza trasponendola nel presente, generando delle 'trasfusioni identitarie' dalla forte personalità e con Lorenzo Morri ho invece sorriso per l'intelligenza ironica ed acuta e il nonsense attraverso i quali sembra improvvisare la vita improvvisata delle giovani generazioni, dove scegliere non è più un atto dovuto. Di Ryts Monet ho apprezzato la leggerezza e al contempo la profondità con cui ha saputo affrontare una tematica drammatica, mentre infine di Giorgio Guidi trovo intriganti la spontaneità e le modalità 'naif' con le quali riesce a trasmettere messaggi stratificati e complessi ma immediatamente percepibili.
Alice Ginaldi
La mia selezione di pittura è stata frutto di una scelta fatta con la pancia, prima che con la testa. Amo la pittura perché mi sembra di capirla, di sfiorarla di essere ad un passo dall'afferrarla quando poi mi sfugge, come un animale selvatico, non addomesticabile. Altrettanto credo che un pittore oggi abbia una grossa responsabilità, e ho approntato le mie scelte rivolgendomi ai lavori che, più di altri, mi suggerivano una rigorosa e consapevole pratica pittorica. Il lavoro di Pecoraro è emerso per la sua potenza evocativa, la grande sensibilità cromatica e la coraggiosa scelta di una graduale dipartita dalla figurazione. Ho scelto Paola Angelini per la sua autentica riflessione sulla pittura attraverso un fare pittorico di stratificazioni e i suoi limiti. Tumulo, di Lorenzo Aceto, mi ha riportato ad una dimensione primitiva e ancestrale grazie al lavorio di accumulo, per accostamento, di villi e viscere cromatiche. Ho selezionato il lavoro di Tiziano Martini per la sua decisione arbitraria di sottrarsi come autore facendo emergere il solo eloquente linguaggio pittorico, presagio inaspettato e retrò di un mero procedimento fisico/meccanico. L'opera di Lorenzo Di Lucido, Teoria delle catastrofi, è stata inserita tra le mia preferenze per il suo essere "hinc et nunc", qui e ora, presente nella contemporaneità e con profonde radici nel nostro passato.Nelle mie scelte di Fotografia & grafica digitale ho ritenuto fondamentale concentrarmi su opere che si rivolgessero con consapevolezza al medium, che fossero una riflessione sul mezzo, ma che non si limitassero ad essa, garantendo una ricerca estetico/formale. Il lavoro di Jaqueline Tune è interessante proprio per questa felice fusione tra prodotto estetico (ritratto tradizionale) e pensiero critico sul medium (fotografia non solo come mezzo che mostra ma soprattutto come cornice che taglia fuori).Ho scelto il lavoro di Domenico Aquilino per la freschezza e la lucidità con cui ha trattato la sofferenza senza scadere nel patetismo. Ho selezionato il lavoro di Daniela Ciamarra per la sua forte carica misterica e la sua felice rappresentazione del tempo sospeso fotografico, mentre ho scelto l'opera di Foto Marvellini per l'equilibrio tra un passato, misteriosamente ignoto, e un presente, ingenuamente noto. Il lavoro di Filippo Armellin è importante per la sua metanarrazione, che medita sul mezzo fotografico senza essere ridondante o sterile.
Nella sezione Installazione, scultura & performance ho cercato di seguire un metodo selettivo coerente con la mia idea di opera d'arte, che, per quanto concettualmente interessante, non dovrebbe mai prescindere il dato di "presenza", legato alla sua percezione. Ho ritenuto importante il lavoro di Yari Miele come riflessione sull'assenza e sull'immaterialità, mentre ho scelto l'opera di Simone Cametti per la ricerca suggestiva e profonda del suo lavoro. Ho selezionato il lavoro di Simona Andrioletti per la sua sensibilità plastica e la presenza scultorea. War di Lavinia Raccanello è stata inserita tra le mie preferenze per la trasfigurazione del soggetto che da impegnativo diviene grafico ed etereo. Ho infine selezionato l'installazione di Ryts Monet per la flagranza con cui trasmette il messaggio, che non viene appesantito eccessivamente di significati ma lasciato interpretare, con ampia libertà di manovra, dal pubblico.
Nella mia scelta mi sono aggrappata alla credenza che l'opera video debba sempre confrontarsi la propria natura di medium, di veicolo di informazioni legato alla sua immanenza, per dirlo in termini filosofici. Ho privilegiato una selezione di lavori che vertesse sulle peculiarità, anche semplici, che offre il mezzo, come ad esempio la facoltà di ritrarre una porzione di tempo "irripetibile". È questo il caso dell'opera presentata da Erica Bellan, che immortala un momento epifanico ed emblematico, in cui accadimento/occasione mancata sembrano frutto di un grado di tolleranza reciproco. Ho scelto il lavoro di Lorenzo Morri per la freschezza e la sagacia, mentre ho selezionato il video Polvere/Dust di Elisa Strinna perché è un'attenta riflessione sul tema dell'identità in termini di relatività einsteniana. Allamhatar di Thunderground Production mi è sembrato un interessante esempio di come un documentario possa informare senza tralasciare il dato creativo. Infine il video di Nicola Gobbetto condensa sintesi narrativa, essenzialità linguistica e sensibilità estetica.
Denis Isaia
Molti li odiano, li ritengono rischiosi, rifiutano il fascino indiscreto della competizione o banalmente credono che siano macchine inutili perché prive di autonomia decisionale. Per quanto mi riguarda è solo amore. I Premi sono crudi: garantiscono spazio al talento, hanno pochi vincitori e molti sconfitti, lasciano il palco alle opere, prendono granchi, sdoganano passaggi interdisciplinari e definiscono correnti. Costruire percorsi a partire da un Premio è uno stile di curatela sorprendente nella misura in cui è aperto ad ogni finale. Con questo approccio ho guardato le opere del Premio Celeste e spero di rivederle, prive della cornice del mio laptop, almeno finché non mi interesseranno molti altri.Francesco Urbano Ragazzi - duo curatoriale
Non ho mai pensato che fare il curatore significhi selezionare gli artisti seguendo il criterio del meglio. Così come non credo che la curatela abbia molto a che fare con il concetto di selezione: nemmeno quando si parla di premi.
Mi sembra più interessante invece che Andrea Bruciati abbia scelto di promuovere degli artisti che sono accomunati da un certo carattere di provincialità, come scrive lui stesso nel suo testo. Andrea li definisce "laterali", prima di chiamarli provinciali, forse per paura di offenderli; ma si capisce che è quella seconda parola che lo interessa davvero.
E in effetti ha interessato anche me. Mentre guardavo le opere in competizione, non ho potuto fare a meno di pensare che la provincia è il vero locus italiano. Che gli artisti italiani oggi più noti vengono da province: Padova, Brescia, Brindisi, Molfetta, Vittorio Veneto, giusto per dirne alcune. Certo, a tutti loro questo non è bastato e hanno dovuto muoversi e formarsi altrove.
Ecco quindi il criterio di curabilità che ho adottato per questo premio. Ho preferito quegli artisti che, per età e intuito, hanno ancora margini per migliorare, nonostante gli errori e le immaturità eventuali. Spero che questo sia un incentivo perché la loro genuinità venga spinta oltre i propri limiti.
Antonello Tolve - Clin d'œil critico
Determinate principalmente da un principio regolatore preferenziale, da un asse metodologico di natura strettamente proairetica, le segnalazioni proposte – soltanto quattordici su venti – collimano, in linea di massima, con le mie simpatie e, in alcuni casi (valga per tutti quello di Pierpaolo Lista), con i miei gusti e con le mie ricerche personali.Nella selezione (effettuata sulla scrematura preliminare di Andrea Bruciati) ho preferito applicare, inoltre, un giudizio assiologico irregolare, localizzato non tanto alle antiche categorie di meliores e deteriores quanto piuttosto a un individuale clin d'œil che ha privilegiato la freschezza di alcune composizioni e, contestualmente la giovinezza anagrafica dei suoi autori. Ma anche, e soprattutto, lo studio al puro diletto, l'esercizio ad un risibile trastullo che caratterizza, purtroppo, molte trovate, fatuità e stravaganze d'oggi.
Alessandra Troncone
Nell’assoluta varietà delle proposte, nella diversificazione di media e linguaggi, ma soprattutto nella richiesta del bando di non rispettare un tema specifico, lasciando così aperta la strada ad una libertà espressiva totale e incondizionata, sembrerebbe quasi impossibile riuscire ad enucleare direttive e criteri per una selezione che non si fondi esclusivamente sul gusto personale. Eppure sono proprio le opere ad aiutare in questo processo, coagulandosi inaspettatamente attorno a tematiche e procedure e rendendo possibile una lettura che, proprio nel confronto, lascia emergere le note e i passaggi più interessanti nella composizione d’insieme, un mosaico di immagini nel quale ci si orienta man mano.
Sul fronte della pittura affiora ad esempio in più occasioni la necessità di reinterpretare e declinare in chiave attuale i generi tradizionali – natura morta, ritratto, paesaggio – ma anche l’astrattismo, da cui alcuni esiti interessanti: tra questi, l’instabile natura morta di Cosimo Casoni e i racconti ambientati di Luca De Angelis raccontano il tentativo di (ri)attualizzare il medium pittorico indicandone nuove, possibili direzioni.
La capacità di costituire una propria identità artistica, basata su una continuità di tematiche, linguaggi, tecniche in grado di affermare lo stadio di maturità del lavoro, va ricercata anche nell’ambito di fotografia e grafica; se è vero che, ai fini del premio, ad essere valutata è soltanto un’opera, è anche vero che da questa è spesso possibile intuire quanto consapevole sia l’utilizzo del mezzo fotografico e/o grafico, quanto avviata un’indagine sulle sue potenzialità. A partire quindi da chi ha scelto – con espedienti diversi – di rilevare una dimensione pittorica nell’immagine fotografica o di portare avanti una riflessione sull’identità dello strumento, si arriva a chi invece utilizza la fotografia ready-shot per un discorso di matrice concettuale che si risolve in chiave installativa, come quello di Elisa Maccioni.
Nella sezione scultura e installazione, dove il potenziale espressivo è pressoché illimitato e ogni possibile discorso tecnico lascia il tempo che trova, ad essere premiata è la capacità narrativa, l’abilità nel rendere immediatamente visibili i termini di un discorso che “buca” il flusso quotidiano degli avvenimenti costringendo a guardare con occhio critico ad una problematica attuale, in modo sarcastico o drammatico. Lo fanno ad esempio Sebastian Contreras con i suoi scontrini danteschi e Francesco Cagnin, il quale dà vita ad un monumento di curricula vitae dove le singole storie si intrecciano ma il problema dell’affermazione professionale resta comune.
Infine, video e animazione: qui il tono si fa ancor più introspettivo, spesso basato su un coinvolgimento personale, ed è proprio tale partecipazione emotiva a dar vita ad alcuni dei racconti più interessanti: il flusso di coscienza visivo di Andrea Bianconi diviene una narrazione frammentata di uno stato d’essere e di vivere, mentre l’azione in video di Nicola Ruben Montini - strizzando l’occhio alle performance degli anni Settanta - riporta la propria vita privata all’attenzione pubblica in modo ancor più eclatante. Sul dialogo tra privato e pubblico insiste anche l’ironico video di Lorenzo Morri, impegnato in un’improbabile (e unilaterale) relazione amorosa con modelle e attrici sul red carpet, ingegnosa soluzione per appropriarsi dei 15 minuti di celebrità warholiana, a casa propria.
Pochi esempi per raccontare le infinite sfaccettature della ricerca artistica contemporanea che, nel suo continuo reinventarsi, rivela correnti sotterranee che ne attraversano le fondamenta; l’abilità, la bravura, la riuscita degli artisti risiede nel mettere “in forma” tali radici comuni, intraprendendo un valido processo di visualizzazione che le metta in mostra e al tempo stesso le inserisca in un proprio discorso personale, lasciandole dialogare con il proprio registro linguistico.
Marianna Vecellio
Ho affrontato la mia selezione partendo dall’indagine delle varie categorie artistiche, ognuna delle quali possiede specificità. Tuttavia se ho assegnato importanza alla conoscenza del mezzo, ho anche premiato una certa sperimentazione, soprattutto quando in essa si riscontra un’autonomia di linguaggio.Pittura
Attraverso una pittura fluida che ricorda alcuni lavori di Marlene Dumas e Peter Doig, Stefano Bullo indaga con toni espressionistici e liquidi il nostro presente.
Matteo Beltrami possiede un tratto pittorico più grafico ma le figure, fatte di soli contorni, suggeriscono una dimensione esistenziale interessante.
Attraverso una pittura tonale e stesure nette, Romina Bassu restituisce azioni e momenti di vita comune con atmosfere surreali e grottesche.
Ping Li possiede un approccio più concettuale. Il lavoro singolo pertanto diventa prototipo di tutta la ricerca che si configura ragionata e affascinante.
La pittura di Simone Zaccagnini scava. Mi affascina la combinazione tra il cromatismo ridotto al bianco e nero, l’iperrealismo fotografico e i soggetti tratti dal quotidiano.
Fotografia
Di Filippo Armellin mi colpisce la spinta sperimentativa che utilizza la fotografia come mezzo privilegiato attraverso il quale esplorare altri campi di indagine come la scultura usata nella costruzione dei set fotografati.
Jacqueline Tune si sofferma su come noi osserviamo e non sull’oggetto dell’osservazione. Il cambio di prospettiva a mio avviso può essere interessante e l’elemento poetico rimuove un’eventuale freddezza tautologica del “guardare colui che guarda”.
Attraverso un uso tradizionale del mezzo fotografico che conosce e usa in modo perfetto, Mario Daniele presenta una poetica immagine di un paesaggio.
Francesco Radici porta nella fotografia peculiarità di altri linguaggi visivi soprattutto di quello filmico. Più che fotografie le sue immagini sembrano still da video.
Di Sonia Formica sento di apprezzare maggiormente la sperimentazione affrontata nella ricerca di paesaggi addizionati tra loro. Tale operazione sembra essere compiuta nella fase di postproduzione e apre a riflessioni sul tempo, lo spazio e le specificità stesse del mezzo fotografico.
Video e Animazione
Il collettivo di artisti Thunderground production realizza un film che colpisce per l’operazione di montaggio diacronico tra musica e immagini che suggerisce l’interesse del gruppo alla sperimentazione invece che alla ricerca puramente documentaristica.
Se il film di Lorenzo Morri è frutto di un’azione spontanea e performativa al limite del grottesco, i progetti di Elisa Strinna e Riccardo Giacconi appaiono un lavoro autoriale ragionato. In entrambi i casi gli autori hanno sviluppato un percorso filmico completo. Infine Niccolò De Napoli ha presentato un progetto istallativo la cui combinazione tra indagine sociale e stile burlesque rivela aspetti originali.
Installazione, Scultura e Performance
Se Francesco Cagnin realizza un lavoro sull’idea d’impermanenza, Elena Mazzi effettua l’operazione inversa: a partire dalla fragilità e inconsistenza dell’uomo di fronte alla tragedia dell’Abbruzzo l’artista opera una interessante ricostruzione andando a riflettere sulla necessità di ricomposizione di un’identità collettiva ed esistenziale. Interessante il processo relazionale ingaggiato da Dario Lazzaretto.
Amedeo Abello e Sebastian Contreras attraverso supporti differenti lavorano sull’idea di composizione e processo artistico.
Alice Zannoni
La selezione a priori di Andrea Bruciati delle 120 opere candidate conduce indubbiamente l'edizione 2013 del Premio Celeste verso una precisa matrice che rispecchia il sentire del curatore, come è giusto che sia. E' anche vero che tra le maglie del setaccio di Andrea Bruciati è possibile individuare dei piani di lettura comuni che prescindono dal gusto individuale e che vanno a comporre quella che si potrebbe definire Zeitgeist - la tendenza culturale dominate - meglio se declinata al plurale, ovvero le tendenze che permettono di cogliere delle macro aree di intervento e di poiesi a prescindere dal mezzo utilizzato. Non si parla di “trattamento estetico” collettivo e nemmeno di scuole o gruppi (ormai è raro riunirsi in movimenti o firmare manifesti), si tratta più che altro di cogliere un alone, uno spirito, un approccio condiviso pur nella singolarità di ogni artista.La premessa accompagna la consapevolezza che le categorizzazioni estetiche non sono per nulla assolute ma, al contrario, sono permeabili e osmotiche, sono ipotesi, sono confronti senza rigidi schematismi per evitare il rischio dell'implosione estesica. Nel verificare le possibilità visive della rappresentazione per tematiche (memoria, identità, archiviazione, realtà) vorrei soffermarmi più che altro su una lettura trasversale di alcune opere, su un sintomo estetico senza intenzioni eziologiche nei confronti del segnale stesso. Si tratta del ritorno: non come tematica, non revisionismo e nemmeno citazionismo, non ritorno letterario, niente “nostos” ma ritorno parziale di una stilema che ha mosso le vicende artistiche italiane degli anni Cinquanta: l'Informale.
Senza intervenire con un saggio di natura storica (che non è mia intenzione) e senza distinzione tra informale freddo/caldo, concreto/astratto è evidente che Sentieri #1 di Carla Ducoli, Forma da virtualizzazione di Flaiano Esposito, Ricerca del sé di Giuliano Cataldo Giancotti, Coefficente di Spazio 4 di Nadia Galbiati, Full Space di Pietro Manzo, Player di Giovanna Noia e Senza Tempo di Yari Miele hanno un comune denominatore: la realtà, depositaria della sua essenza, non è sufficiente e diviene “tela” su cui costruire e proiettare sistemi geometrici (immaginari e non) di poliedri e forme frattali, come se fosse necessario “sur-renderizzare” la porzione di esistente per renderla oggettiva. Magistrale il video di Flaiano Esposito Forma da virtualizzazione che si espone, anche con la scelta del titolo, in questa direzione e l'opera Senza Tempo di Yari Miele che potrebbe essere la rivisitazione in chiave installativa di Achille Perilli.
Carla Duccioli e il suo Sentieri #1, con intenzioni espressive diverse dai precedenti, non si esime dal raccogliere i riferimenti del tempo che vive rappresentando i segni dell'esistenza e la loro stratificazione, sovrapponendoli al tessuto reale nella metafora del sentiero che diviene linea essenziale, astratta, impossibile da praticare eppure viva e presente nel pensiero. L'opera è il frame di una “mind maps” e, come nella cartografica digitale, l'artista segnala i percorsi concettuali nella forma di una linea che non conosce morbidezze o curve ma solo virate angolari nel cambio della direzione.
L'installazione Ricerca del sé di Giuliano Cataldo è una costruzione che avrebbe ben gradito il gruppo De Stijl e, sebbene la genesi dell'artista milanese non ritrova i natali nel neoplasticismo, la sua dichiarazione “tutto è illusione, nulla è reale” accompagna il senso della non-figuratività come apertura percettiva lasciando molto spazio al fruitore e mostrandosi affine ai raffinati lavori di Esther Stocker e alla “Comprensione dell'osservatore” per citare il testo critico di Domenico Papa.
E' un'Informale spesso parcellizato in porzioni e sovrapposto alla superficie, come in Player di Giovanni Noia meritevole di aver sintetizzare il senso di smarrimento attraverso la figura dello sportivo che, per eccellenza, rappresenta nell'immaginario collettivo il derivato del “super uomo”. In questo lavoro la mancanza di un contesto mimetico che definisce lo spazio dell'attività sportiva sposta l'attenzione dal corpo alla dimensione intelligibile, in una perfetta parafrasi pittorica del pensiero “in corsa” tra accelerazioni, rallentamenti e salti ad ostacoli.
La presenza di Pietro Manzo in questo frangente di analisi potrebbe risultare una forzatura critica ma solo se l'osservatore è distratto perché l'artista ha l'abilità tecnica di trasmettere l'immagine di caos spaziale-creativo totale donando al fruitore anche la dimensione lenticolare per entrare nel dettaglio: l'opera Full Space è l'equilibrio tra l'apparenza informale del tutto e il rivelarsi diegetico per l'emersione di dettagli “parlanti”.
Nel ribadire le intenzioni di lettura trasversale a partire dalla presenza di segni comuni tra le diverse poetiche e nel precisare la presa di distanza da un'ipotesi di neo-informale, osservo e puntualizzo un possibile “volontà di forma” para-informale come Zeitgeist dell'epoca contemporanea.
Settembre 2013